Nessuna giustizia per Stefano Cucchi

“Una sentenza che non fa giustizia. Subito il reato di tortura nel codice penale”: l’Arci sulla sentenza per la morte di Stefano Cucchi, una sentenza di primo grado che derubrica a episodio di malasanità la tragica fine del ragazzo. "Mio fratello è morto di ingiustizia" questo il grido di dolore di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, protagonista della battaglia legale per chiedere giustizia sulla morte del fratello avvenuta in carcere nel 2009.

Nessuna giustizia per Stefano Cucchi
“Mio fratello è morto di ingiustizia”, questo il grido di dolore con cui Ilaria, la sorella di Stefano Cucchi, ha accolto la sentenza di primo grado che derubrica a episodio di malasanità la tragica fine del fratello. Si chiude così, con l’assoluzione di infermieri e agenti e la condanna dei medici del’ospedale Pertini per omicidio colposo un processo durato tre anni e che per la famiglia Cucchi ha rappresentato un vero calvario. Sul banco degli imputati paradossalmente si è trovato troppo spesso Stefano, la vittima, ‘colpevole’ di un passato di tossicodipendenze, che ne avrebbe determinato le precarie condizioni di salute. Quelle terribili foto scattate subito dopo la morte, quel corpo pieno di ecchimosi e lividi, ridotto a uno scheletro, per i giudici della terza Corte d’Assise di Roma testimonierebbero solo l’incuria di qualche medico. Una ricostruzione inaccettabile, che non fornisce nessuna spiegazione sulla realtà di un giovane trentenne che muore dopo poche ore di detenzione senza che ai familiari sia stato concesso di vederlo, di salutarlo un’ultima volta, di farsi raccontare cosa fosse davvero successo. Per lui parlano quei terribili segni sul corpo, di cui però non viene fornita spiegazione, né viene individuato alcun colpevole, perché violenze ‘ininfluenti a determinarne la morte’. Il dolore della famiglia in queste ore è anche il nostro dolore. La loro amarezza per uno Stato che anziché proteggere, anche in luogo di detenzione, un suo cittadino, copre i carnefici è la nostra amarezza. Sarebbe sbagliato però lasciarsi sopraffare da questi sentimenti, arrendersi all’evidenza di una sentenza che non fa giustizia. La battaglia per la verità deve continuare. Saremo accanto ai familiari di Stefano, che per tutti questi anni non si sono arresi, e continueranno a combattere perché giustizia sia fatta. Intanto, chiediamo che il Parlamento dia subito un segnale importante, approvando nel tempo più rapido possibile il provvedimento che introduce il reato di tortura nel nostro codice penale. Sarebbe un importante passo in avanti perché il diritto alla tutela fisica e psichica di qualunque persona privata della libertà venga affermato, insieme alla possibilità di individuare e punire chi tale diritto non rispetta.

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