Onorio Belussi e una vita dedicata al "non fare"

Questa è la storia di un uomo che trent'anni fa, grazie a un libro, decide di rivoluzionare completamente la propria vita e oggi, a 73 anni, ci mostra con orgoglio e gioia i risultati di quella scelta: un campo di 3mila metri quadri coltivato secondo gli insegnamenti di Masanobu Fukuoka e dell’agricoltura del non fare. Uno dei campi più grandi d'Europa che ha fatto di Onorio uno dei massimi esperti in merito e un punto di riferimento per tutti coloro che si vogliono avvicinare al metodo naturale.

Onorio Belussi e una vita dedicata al

Onorio Belussi, bresciano, classe 1942, un amore viscerale per la terra, nel 1987, leggendo La rivoluzione del filo di paglia di Fukuoka, decide di cambiare vita: “Quando lessi per la prima volta Fukuoka avevo 50 anni ed ero dipendente comunale. Prima di leggerlo, se qualcuno mi avesse chiesto se mi interessasse tornare a fare il contadino, la mia risposta sarebbe stata no. Appena aver letto il testo di Fukuoka invece sentii riaffiorare tutto l’amore che avevo per la terra e decisi di mollare tutto per dedicarmi all’agricoltura”. Ma non all’agricoltura tradizionale, quella che aveva conosciuto da piccolo e che lui stesso aveva praticato: “Io volevo seminare paradisi terrestri” (campi coltivati con il metodo naturale insegnato da Fukuoka, ndr).  
E quale miglior occasione per creare un paradiso terrestre di un campo arido e sterile che non voleva nessuno? “Questo campo era in vendita da cinque anni ma nessuno lo comprava. Tutti dicevano che non ci sarebbe cresciuto neanche un filo d’erba e, inoltre, non vi arrivava acqua, se non quella piovana…” Un pessimo affare per tutti, ma non per Onorio che a quei 3mila metri quadri, da quel momento in poi, dedicò la sua vita.

Quando ha iniziato, nel 1989, è stata dura: “Venivo criticato e beffeggiato da tutti. Nessuno conosceva questo metodo e a nessuno sembrava convincere il mio comportamento. Oggi molte di quelle stesse persone vengono per farmi i complimenti”. Del resto lui non ha mai avuto un minimo dubbio sulla sua validità: “Quando ho iniziato il mio obiettivo era dimostrare che il metodo naturale, riassumibile nei cinque principi del non lavorare il terreno, non fertilizzarlo, non usare antiparassitari, non potare le piante, non eliminare le erbe, fosse fattibile anche in Italia. Volevo far vedere a tutti che con l’agricoltura del non fare si sarebbe potuto aumentare i raccolti e i guadagni diminuendo al contempo le fatiche e le spese. Insomma che ci si sarebbe potuto campare o, ancora meglio, vivere bene in tanti”.
E per raggiungere i suoi obiettivi Onorio iniziò a studiare e a imparare dai più importanti maestri nel campo del non fare: “Innanzitutto ho fatto il corso con Panaiotis Manikis, allievo di Fukuoka e presidente dell’agricoltura naturale a livello europeo, poi ho fatto il corso di permacultura con David Holmgren e anche con Emilia Hazelip”.
I risultati non tardarono ad arrivare: “All’epoca con i miei 3mila metri quadri di paradiso terrestre riuscivo a guadagnare di più del mio vicino con i suoi 15mila metri quadri di campo coltivato a mais in modo tradizionale. Senza rischi, senza spese e senza desertificare il terreno”. Una soddisfazione non da poco ma, certamente, non un traguardo: “Quando ho incontrato Fukuoka di persona ho capito che il mio obiettivo non poteva essere solo quello di seminare paradisi terrestri. Per Fukuoka, infatti, bisognava andare oltre: rinverdire deserti e rinnovare cuori umani. Abbracciai quindi questi pensieri e li feci miei”.
Oggi il campo di Onorio è lasciato in uno stato quasi selvatico: “Non mi ci dedico più per la produzione ma per la divulgazione. Le persone vengono qui a visitare il mio campo per imparare e io stesso faccio molti corsi in giro. Non ho più tempo per la produzione e la vendita. Ma quello che raccolgo è sufficiente per me, la mia famiglia, l’autoproduzione di molti alimenti e per chiunque passi di qui e voglia raccogliere qualcosa”.

Anche per questo il confine esterno è cosparso di fragoline “così chi passa le può prendere”. Non ci sono paletti o recinzioni, solo una regola: "Non calpestare il terreno, passare sui sentieri". Per il resto massima libertà, alla natura di fare e all'uomo di raccogliere. E ce n'è per tutti! All’interno del terreno ogni centimetro quadrato non solo è produttivo ma è anche commestibile. La vigorosità della natura è sorprendente: le piante sono bellissime, il sottobosco è talmente fertile che al di fuori dei “sentieri” delineati da sterpaglie è difficile vedere il terreno, la natura è ovunque ed è completamente appagata. “Quando entro qui mi dico: vediamo cosa mi ha preparato la natura oggi”, mi dice Onorio con ammirazione e orgoglio.
Orgoglio che scaturisce soprattutto dalle sue piccole e grandi vittorie: “Prima tutti mi davano del matto, mi criticavano e le critiche diventavano pregiudizi e luoghi comuni. Un cacciatore un giorno mi disse: ‘Se ci fosse ancora qui tuo padre, ti darebbe tanti di quei calci nel sedere! Ma si può tenere un campo così?’ Qualche anno dopo mentre ero al campo sento una voce che dice: ‘Guarda qui che meraviglia, finalmente qualcuno che capisce qualcosa!’ Era lo stesso signore di prima”. Negli ultimi anni anche alcune scuole hanno iniziato a bussare alla porta di Onorio: “Mi chiamano per fare corsi e insegnare ai ragazzi il mio metodo. Persino il preside dopo aver visitato il mio giardino ha iniziato a coltivare il suo orto con il metodo naturale”. 
Ma non per tutti è facile capire il valore del lavoro di Onorio e ammettere la validità di questo metodo: “Oggi i piccoli contadini cominciano ad avere grandi difficoltà economiche. E cosa fanno invece di cambiare metodo? Cedono i terreni. Tra poco qui sarà tutto in mano a pochi grandi aziende che continueranno a devastare il nostro territorio con monocolture intensive... Ma del resto non è facile avere la testa del non fare in una società del fare, è come dire nel Medioevo che il sole gira attorno alla terra”.
Anche per questo Onorio continuerà nella sua missione: “Nel mio piccolo non posso far altro che continuare a spargere semi, con le braccia e con le parole, sperando che un giorno qualcuno di questi semi dia buoni frutti e che - magari - quando non ci sarò più questo paradiso terrestre rimanga ancora ‘abbandonato’ a se stesso”.

http://onoriobelussi.altervista.org/

 

 

 

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