Pellicce, la battaglia Lav riprende vigore

Il dossier sulla sofferenza animale era stato presentato al Parlamento Europeo oltre un anno fa da Eurogroup for animals di cui la LAV (Lega AntiVivisezione) fa parte insieme ad altre associazioni animaliste. Oggi a che punto siamo? Ce lo spiega Simone Pavesi, Responsabile LAV per la Moda Etica.

Pellicce, la battaglia Lav riprende vigore

L'iniziativa intendeva rivendicare il rispetto di standard elevati da parte delle industrie di pellicceria. Tali standard, infatti, sono in netto contrasto con le realtà degli allevamenti italiani ed europei all'interno dei quali gli animali continuano a vivere in condizioni del tutto irrispettose  delle loro necessità comportamentali. Continua da parte della LAV l'opera di sensibilizzazione al problema ma qual è la situazione a oltre un anno di distanza dalla presentazione del dossier? E qual è la posizione degli allevamenti da pelliccia sia in Italia che in Europa? Lo chiediamo a Simone Pavesi, Responsabile LAV per la Moda Etica.

Qual è la situazione al momento dal punto di vista delle istanze presentate al parlamento europeo? Era stato presentato circa un anno fa il Dossier sulla Sofferenza Animale.

Quella presentazione è stata utile per sensibilizzare sullo sfruttamento degli animali le istituzioni europee che, spesso, sono oggetto di attività di lobby da parte dell’industria della pellicceria alla ricerca di un consenso “europeo” per tutelare in particolare gli allevamenti di visoni e volpi. A livello nazionale purtroppo no perché c'è un immobilismo totale da parte del  parlamento per qualsiasi tipologia di nostra istanza. Non solo sulle pellicce ma anche per altre tematiche animaliste presentate presso le commissioni referenti come quella dell'Agricoltura alla Camera e della Sanità al Senato i cui presidenti hanno una visione sostanzialmente opposta alla nostra.  E' quindi difficile avere risposte alle nostre richieste.

Qual è la normativa vigente al momento?

Al momento posso dire che non ci sono neppure i tempi tecnici per  avviare un iter per una nuova legge come quella che stiamo chiedendo relativa agli allevamenti di animali da pelliccia. I tempi parlamentari sono di solito lunghissimi. Al momento, comunque, stiamo raccogliendo materiale relativo alle condizioni degli animali detenuti presso gli allevamenti da pelliccia per continuare a fare pressione presso il governo e le direzioni generali del ministero della salute che si occupano di benessere degli animali affinché le leggi siano sempre più restrittive in modo da non incentivare la nascita di nuovi allevamenti.

Che cosa chiedete?

Noi chiediamo l'assoluto divieto di allevamento di animali per la produzione di pellicce. Non chiediamo un miglioramento delle condizioni di detenzione o di gestione degli animali o gabbie più grandi ma chiediamo gabbie vuote. Vogliamo, inoltre, che gli ultimi allevamenti ancora oggi in attività in Italia che allevano visoni con questa finalità chiudano nel più breve tempo possibile.

Negli ultimi anni gli allevamenti sono diminuiti?

Sono diminuiti dal punto di vista numerico degli animali allevati ma stanno, invece, aumentando dal punto di vista delle strutture perché questa è una strategia delle associazioni di categoria. In altre parole, l'Associazione Italiana Allevatori Visoni (AIAV) cerca di collegare i nuovi allevamenti ad altri già esistenti in cui vengono allevati anche altri animali come quelli destinati all'alimentazione. E questo esclusivamente per poter dire che esiste un nuovo allevamento di visoni. Agli allevatori  che vengono contattati viene chiesta la disponibilità di allestire al massimo un migliaio di gabbie. In cinque anni siamo passati da 15 allevamenti a 20. Questi allevamenti, come dicevo, detengono al massimo 1000 animali e, quindi, non hanno niente a che vedere con gli allevamenti classici di animali da pelliccia dove si può arrivare ad  avere anche 50 o 60.000 animali in gabbia. Questo serve a far vedere che si tratta di un'attività in crescita ma in realtà rappresenta una piccolissima percentuale nella zootecnia italiana e non ha nessuna valenza in termini anche economici per quanto riguarda il nostro paese. Le pelli di questi animali vengono commercializzate in aste specializzate all'estero con un indotto diretto minimo. Di conseguenza non c'è neppure una ragione economica che giustifichi il continuare a mantenere questa attività.

Esistono allevamenti che si sono dimostrati aperti a un dialogo con la LAV o almeno disponibili a migliorare le condizioni di vita degli animali?

Assolutamente no, anzi. Quello che stanno facendo le associazioni di categoria  allevatori di animali da pelliccia è cercare il consenso istituzionale anche a livello europeo al fine di validare quelli che sono gli attuali metodi di allevamento. Tant'è che hanno prodotto in questi ultimi anni anche delle pubblicazioni di esperti (a loro vicini) per dimostrare quanto stanno facendo nell'ambito di protocolli che si chiamano Welfur, gioco di parole (Welfare = Benessere Fur = pelliccia) per dire quanto bene stiano lavorando. In sostanza, attraverso questi protocolli operativi vengono dati punteggi suddivisi in quattro categorie: dalla pratica corrente inaccettabile a quella accettabile fino alla migliore pratica. Viene data in sostanza una valutazione in base ad alcuni parametri come ad esempio il livello di mortalità in allevamento o sulla presenza di stereotipie comportamentali dell'animale o altri parametri. Vengono assegnati poi punteggi che in realtà sono strutturati sull'attuale sistema di allevamento. Per fare un esempio, il protocollo sul visone prevede l'assegnazione di un punteggio in base alla mortalità dei cuccioli che è assolutamente inaccettabile. Questo criterio si attua in un giorno specifico dell'anno che è il 15 maggio. Questa rilevazione non può avere alcuna importanza scientifica perché i cuccioli di visone nascono ad aprile e quindi in quel lasso di tempo ci possono essere state delle morti. Gli allevatori vogliono dimostrare che c'è una bassa mortalità nei loro allevamenti ma la mortalità viene calcolata in ritardo rispetto alle nascite. E' qualcosa di incomprensibile e fuorviante.

Quali animali da pelliccia vengono allevati in Italia?

In Italia solo visoni. Fino agli anni Ottanta abbiamo avuto allevamenti di volpi che ora non esistono più.

La legge per un trattamento etico degli animali c'è e non viene rispettata?

Se dovessimo applicare alla lettera le normative esistenti ci sarebbero già i presupposti per dire che gli allevamenti da animali per la produzione di pellicce non possono esistere. Partiamo dalla normativa base che è la direttiva europea n. 58 che risale al 1998 che dice chiaramente che nessun animale deve essere custodito in un allevamento se le condizioni in cui viene allevato non possono assicurare il rispetto di alcuni parametri relativi alla salute e al benessere dell'animale.

Quali sono i maggior danni arrecati agli animali durante la prigionia?

Ci sono numerosissime pubblicazioni scientifiche al riguardo che dicono quanto sia incompatibile la vita in una gabbia per questo animale, che è un predatore, che viene costretto a stare in una gabbia a stretto contatto con i suoi simili, quando invece in natura vive isolato e non in gruppo. Il visone, inoltre, è un nuotatore e vengono quindi negate quelle che sono le sue esigenze biologiche di base. Quella che è già una legge che risale al 1998 in teoria ha gli elementi per consentire il divieto di questa pratica. Purtroppo questo non avviene. Anche la più recente normativa, la n. 189 del 2004 qualifica come condotta delittuosa, quindi come un reato, l'uccisione di animali “senza necessità”.

Qual è la necessità di possedere una pelliccia?

Non ce n'è alcuna necessità perché l'industria dell'abbigliamento rende ormai disponibili materiali alternativi anche più ecologici rispetto alla produzione di animali da pelliccia. Secondo il codice penale, quindi, visto che si vieta espressamente l'uccisione senza necessità, si viene sostanzialmente a violare una legge.

Quali sono esattamente le condizioni dei visoni? Vivono in gabbia dalla nascita fino al momento dell'uccisione?

Sì. I sistemi di valutazione assegnano i punteggi massimi all'attuale sistema e quindi si tratta di un protocollo che va a premiare quello che già avviene. I visoni sono costretti in gabbie di massimo 70 centimetri stipati in due o tre esemplari per una vita zootecnica media di circa 9 mesi. In natura, invece, gli animali vivono fino a sei anni.

Come vengono uccisi?

Vengono gassati con monossido di carbonio. La soppressione avviene nell'allevamento stesso a differenza di altri animali come quelli destinati all'alimentazione. Di conseguenza ci sono anche meno controlli sulla metodologia di uccisione perché ci sono meno verifiche. Vengono messi in una vera e propria camera a gas. Nessuno verifica il livello di saturazione di gas nelle camere che invece sarebbe fondamentale perché se la concentrazione non è adeguata l'animale rischia una lunga agonia. Allo stesso modo nessuno verifica la temperatura. Spesso viene usato un motore come può essere quello di un trattore per uccidere questi animali e quindi si tratta sicuramente di una morte molto cruenta.

In Italia il mercato delle pellicce è molto limitato. Dove esportiamo le pelli che produciamo?

Le pelli grezze vengono commercializzate all'asta di Copenaghen. Esistono cinque o sei aste dove si vendono all'ingrosso. Il mercato su cui c'è la maggiore domanda è sicuramente il mercato cinese e quello russo mentre in Europa e negli Stati Uniti il consumo di prodotti di pellicceria è in netto calo. Dal 2006 si registra un declino significativo proprio perché per i valori radicati nella nostra società è qualcosa di poco accettato e condiviso e ci si dirige verso scelte alternative.

Vengono ancora prelevati animali in natura per farne pellicce?

Purtroppo sì. L'uccisione delle foche avviene nel Nord del Canada ma molti paesi sono contrari all'acquisto di pelli di foca. Poiché non c'è stato espresso divieto alla caccia delle foche, i cacciatori continuano a fare il loro lavoro ma, di fatto, c'è stato un netto calo della produzione e delle vendite in questo senso dopo i divieti di commercio adottati da Europa, Usa, ma anche Russia. Per le pellicce ricavate da coyote o da volpi catturati in natura, i principali paesi produttori sono Canada e Russia ed è consentito immetterle anche sul mercato europeo e nazionale.

Se domani mattina chiudessero, per ipotesi, tutti gli allevamenti italiani, di che perdita economica si tratterebbe? Anche indotto incluso.

Stiamo parlando di circa 200000 animali uccisi annualmente. Gli unici a guadagnare sono gli allevatori che rivendono poi alle aste. Ogni pelle vale circa 40 euro. Non c'è un'economia collegata a questa attività zootecnica, perciò nel momento in cui si dismettessero tutti gli allevamenti non ci sarebbero perdite collegate. Le concerie e le aziende di moda di pellicce continuerebbero ad approvvigionarsi nelle aste internazionali.

Come può fare chi vuole chiudere il proprio allevamento?

Purtroppo in questi casi gli animali vengono uccisi e i riproduttori vengono venduti ad altri allevamenti. Non sono previsti incentivi economici perché parliamo di allevamenti a conduzione familiare e quindi non c'è una preoccupazione politica. Di conseguenza non sono previsti incentivi.

Quali saranno i vostri prossimi passi?

Continueremo a insistere sulla richiesta di divieto di allevamento. Presenteremo un quadro oggettivo e condivisibile anche da chi ha valori etici diversi dai nostri. Continueremo a fare pressione presso il governo

Che cosa può fare ciascuno di noi?

Scegliere di non acquistare abbigliamento realizzato con componenti animali. Pellicce, piume, pelle, seta, lana sono, infatti, materiali che inevitabilmente comportano una qualche forma di sfruttamento. Nessun materiale ricavato dallo sfruttamento di un animale può garantire che al singolo animale coinvolto siano stati risparmiati privazioni e sofferenze o assicurata una vita naturale (per qualità e durata).

Alcuni consigli sul perché e come vestire Animal Free sono disponibili sul sito tematico della LAV www.animalfree.info.  

 

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