Ananas, chi ne paga il costante abbassamento di prezzo?

'Padroni a casa nostra' ci porta in Costa Rica, dove vengono prodotti i tre quarti degli ananas che troviamo sugli scaffali dei supermercati europei. Una produzione enorme, concentrata nelle mani di due multinazionali - le americane Dole e Del Monte - che dominano il commercio mondiale di questo frutto sempre più richiesto. Scopriamo a che prezzo.

Ananas, chi ne paga il costante abbassamento di prezzo?
Vi sarete imbattuti molte volte nel reparto frutta di un supermercato. Lì avrete sicuramente trovato le offerte più interessanti: prendi 3 e paghi due, prendi due e paghi uno, prendi mezzo chilo di merce e paghi pochi centesimi di euro ecc.; in molti casi offerte fatte per promuovere l’acquisto di prodotti che arrivano dalla parte opposta del globo, o assolutamente fuori stagione. Altro fenomeno dovuto alle magie del libero mercato, è l’offerta presso i supermercati di ogni parte d’Europa e del mondo 'civilizzato' dell’abnorme quantità di prodotti 'esotici' esposti. Merce della cui origine si sa spesso ben poco e della quale non ci si riesce a spiegare l’economicità. Miracoli della grande distribuzione. Quindi da dove arrivano questi prodotti, come fanno ad essere disponibili in ogni periodo dell’anno, e soprattutto, come possono costare così poco se, dietro di loro, c’è una lunghissima filiera di produzione, trasporto, imballaggio, conservazione e distribuzione? Non ci si può non fare alcune domande, visti i prezzi stracciati che spesso li caratterizzano. Un esempio di 'svendita', oltre a quello ormai noto delle banane, è quello di un frutto dalla crescente diffusione sulle tavole globali: l’ananas. Un prodotto sempre più economico, se ci avete fatto caso, ma la cui caduta libera dei prezzi, nei supermercati del vecchio continente, ha delle conseguenze, pagate (sotto certi aspetti letteralmente) da chi quel succulento e dolcissimo frutto lo produce. Oggi il nostro viaggio con 'Padroni a casa nostra' ci porta così in Costa Rica, piccolo Stato dell’America centrale nel quale vengono prodotti i tre quarti degli ananas che troviamo sugli scaffali dei supermercati europei. Una produzione enorme, concentrata però nelle mani di due multinazionali in particolare - le americane Dole e Del Monte - le quali dominano il commercio mondiale di questo frutto sempre più richiesto, senza però farsi scrupoli nei confronti del Paese e della popolazione che li ospita. Prima lo scorso anno nella classifica del rapporto Happy Planet Index (una graduatoria sul benessere delle nazioni basato non più sul Prodotto Interno Lordo, ma sulla felicità, l’aspettativa di vita e l’impatto ambientale), redatto dalla New Economics Foundation di Londra, la nazione mesoamericana presenta invece degli aspetti molto oscuri, dovuti ai profondi disagi che nascono da uno sfruttamento eccessivo del territorio e delle persone che vi vivono e lavorano. A dimostrarlo è un’inchiesta co-prodotta dall'Unione Europea e dal celebre quotidiano inglese The Guardian, nella quale sono documentate sia le condizioni di sfruttamento e povertà subite dalle persone impiegate nelle piantagioni, che gli effetti sulla salute (loro e delle popolazioni locali) causati dal massiccio uso di pesticidi e sostanze chimiche, necessarie alla coltivazione intensiva del frutto tropicale. Fernando Ramirez, esperto agronomo del del Costa Rica National University's toxic substances institute dell’Universdad Nacional , ha spiegato il ciclo agrochimico necessario alle monoculture per produrre frutti perfetti per la vendita: "Gli ananas hanno bisogno di grandi quantità di pesticidi, circa 20kg di principi attivi all’ettaro per ciclo. I terreni sono sterilizzati; la biodiversità eliminata. Generalmente c’è bisogno dai 14 ai 16 tipi di trattamento, e molti di questi vengono eseguiti diverse volte. Usando sostanze chimiche pericolose per l’ambiente e per la salute umana". Sostanze chimiche legali in Costa Rica, ma ritenute controverse in tutto il mondo. La chimica ha reso ben poco costosi gli ananas, creando un nuovo mercato, ed aumentando la produzione di questo frutto del 50% dal 1998 ad oggi. Il problema è che questa è un’industria, come molte altre del resto, basata sul degrado ambientale e sul deterioramento delle condizioni di vita di persone già povere. Persone che almeno non si rassegnano e stanno denunciando sempre più i problemi dovuti alle contaminazioni chimiche, agli avvelenamenti accidentali, ai licenziamenti ingiustificati ed ai tagli degli stipendi (causati anch’essi dalla necessità di mantenere prezzi degli ananas molto bassi, in un mercato sempre più espanso e competitivo) delle migliaia di operai impiegati in questo settore produttivo. La chimica ha compromesso le falde acquifere delle zone limitrofe alle piantagioni, tanto che le persone da anni devono dipendere da rifornimenti via cisterna, ed ha reso i fiumi ed i torrenti uno spettacolo ininterrotto di pesci galleggianti senza vita. Gli effetti sulla salute sono a dir poco inquietanti, ed hanno portato il governo a fare delle analisi sulle acque del posto, nelle quali è stata trovata traccia di 22 agenti contaminanti. Le conseguenze ovviamente non mancano: persone che fino a pochi anni fa non avevano nulla, si ritrovano oggi piene di malattie, dalle 'semplici' infezioni agli irrimediabili tumori. Fa male sentire, vedere o leggere queste cose. Ma quando facciamo la spesa, tutti, anche chi ha la fortuna (o la possibilità) di avere un orto, un giardino o un frutteto che gli/le permetta di mangiare dei sani frutti autoprodotti, ricordiamoci che tutto ha un prezzo. Ricordiamoci che cosa sta dietro ai bollini adesivi di marche come Dole e Del Monte. E se proprio qualche volta ci vogliamo concedere (un po’ incuranti delle filiere corte, dei prodotti locali e quindi dei cambiamenti climatici) un prodotto “esotico” che arriva da luoghi molto lontani da casa nostra, facciamolo almeno scegliendo prodotti Fair Trade, o del commercio equo e solidale in generale. Un settore a sua volta in pericolo, quest'ultimo, secondo Vladimiro Adelmi, responsabile Solidal Coop-Coop Italia: "Ogni abbassamento dei prezzi crea dei problemi ai prodotti Fair Trade. […] Che riguarda una tutela dei diritti delle persone e dell’ambiente, ma che poco può fare quando sul mercato i prezzi sono eccessivamente bassi". Nel futuro, quindi, "il ruolo determinante sarà quello delle persone – conclude Adelmi - delle quali rimane importantissima e fondamentale la reazione". Ricordiamocelo bene, perché più è basso il prezzo che paghiamo in Europa noi 'consumatori', più è alto quello che devono pagare i produttori del Costa Rica e di decine di altri Paesi. Persone sfruttate da compagnie straniere per mercati stranieri, desiderose di godere almeno in parte dei frutti del loro lavoro e della loro terra.

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