Quali sono le parole giuste per comunicare il clima?

Già, quali sono le parole giuste per comunicare il clima? Perché ora occorre essere più che mai incisivi ed evitare che la gente, distratta dalle incombenze quotidiane, si giri dall'altra parte come se sentisse l'ennesimo ritornello emergenziale. Quindi, cosa fare?

Quali sono le parole giuste per comunicare il clima?

The Guardian ha sollevato il problema pochi giorni fa con un articolo del suo editor ambientale, Damian Carrington: dobbiamo cambiare le parole quando parliamo di ambiente. In particolare quando parliamo di clima. Perché dobbiamo essere incisivi e, nel medesimo tempo, scientificamente rigorosi.
Ecco qualche esempio dei cambiamenti che il quotidiano ha deciso di autoimporsi. Invece di climate change, d’ora in poi saranno usati i termini climate emergency, climate crisis o climate breakdown. Volessimo seguirne l’esempio, noi in italiano dovremmo utilizzare al posto di ‘cambiamenti climatici’ i termini ‘emergenza climatica’, ‘crisi climatica’ o ‘collasso climatico’ (diciamo subito che su quest’ultima proposta avremmo serie riserve, anche di tipo scientifico, persino se breakdown lo traducessimo con ‘rottura’).
Allo stesso modo, The Guardian utilizzerà d’ora in poi global heating invece che global warming, anche se quest’ultimo termine non sarà messo al bando. In italiano avremmo meno problemi, perché traduciamo entrambe le espressioni con ‘riscaldamento globale’. Ma non ne facciamo un problema di traduzione. Non per ora, almeno.
Verifichiamo perché The Guardian sente questo problema che, a prima vista, potrebbe sembrare puramente nominalistico. «Noi vogliamo assicurare – sostiene Katharine Viner, la direttrice del quotidiano (la prima donna a dirigere l’autorevole giornale inglese) – di essere scientificamente precisi oltre che di comunicare chiaramente con i nostri lettori su questi temi così importanti. L’espressione climate change suona piuttosto passiva e gentile mentre gli scienziati ci parlano di un fenomeno che rappresenta una catastrofe per l’umanità».
The Guardian ricorda come il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, abbia iniziato a utilizzare l’espressione climate crisis già lo scorso mese di settembre, ricordando che quella del clima è una «crisi esistenziale». E che la medesima espressione viene utilizzata da Hans Joachim Schellnhuber, il climatologo che è stato consigliere di Angela Merkel, dell’Unione Europea e del papa (in occasione dell’enciclica Laudato si’).
Damian Carrington propone altri esempi di terminologia “più corretta”. Ma noi possiamo fermarci qui. E chiederci se le motivazioni addotte per questa forte attenzione alle parole sia o no una questione importante e se le nuove parole adottate siano davvero quelle più corrette e insieme più chiare.
Senza dubbio il sentire l’esigenza di una sempre maggiore correttezza scientifica fa onore al giornale. Un giornale che, sia detto per inciso, non ha bisogno di urlare per attirare l’attenzione dei lettori non solo nel Regno Unito ma in tutto il mondo. L’esigenza avvertita da The Guardian dovrebbe essere generale e coinvolgere tutti i mass media. Soprattutto, come rileva Katharine Viner, quando si fa comunicazione su temi di così enorme portata: non possiamo permetterci di sbagliare.
Il principio generale è dunque più che giusto. Anche se, bisogna sottolineare, i mass media, per definizione, si rivolgono al grande pubblico. E, dunque, oltre al dovere del rigore hanno anche quello della chiarezza. O, se volete, della comunicabilità.
Quando si comunica, le nostre parole si confrontano sempre con due tipi di errore: quello, appunto, associato al rigore e quello associato alla comunicabilità. Nessuno dei due errori può essere azzerato. Cosicché la buona comunicazione consiste nel prodotto minimo dei due errori. Perché se ci si concentra esclusivamente sul rigore, si può perdere in comunicabilità. E viceversa. Ogni volta che comunichiamo dobbiamo cercare di trovare il risultato minimo nel prodotto tra i due errori. In altri termini le espressioni che meglio salvano e il rigore e la comunicabilità.
Bene, per venire all’italiano, modificare i termini ‘cambiamento del clima’ con ‘crisi del clima’ o ‘crisi climatica’ non modifica molto la comunicabilità. Tutti noi, non esperti, abbiamo la medesima percezione del concetto che si vuole comunicare. Ma sul rigore? Qui forse c’è da discutere. Il clima sta cambiando. In realtà, il clima cambia sempre, ma ora sta cambiando con una velocità e un’intensità che non sono né proprie di tempi normali né desiderabili. Quando alle espressioni ‘crisi del clima’ o ‘crisi climatica’ pongono un problema di rigore. Quando cambia, anche in modo così rapido e intenso, non è che il clima del pianeta Terra entra in una fase di crisi. La parola crisi ha una connotazione antropocentrica che non è adatta a fenomeni naturali di questa portata. La crisi o, se volete, l’emergenza non riguarda il cambiamento in sé bensì gli effetti su noi umani e sull’intera umanità che il cambiamento comporta. Per cui, se dovessimo soddisfare le (giuste) esigenze avvertite dai giornalisti di The Guardian dovremmo parlare, a rigore, di ‘effetti sulla società umana indotti dai cambiamenti anomali del clima’.
Lo stesso ragionamento varrebbe per ‘emergenza climatica’ o ‘catastrofe climatica’: dovremmo parlare di ‘emergenza per la società umana’ o di ‘catastrofe per la società umana’ create dai cambiamenti climatici indotti dalla stessa umanità.
Ma ecco che, per essere troppo rigorosi, perderemmo in comunicabilità. Queste espressioni sarebbero più precise, ma meno efficaci. In definitiva, il termine ‘cambiamenti climatici’, anche se un po’ impreciso, è ormai chiaro a tutti. In fondo, è usando i termini climate change e global warming – tradotti nelle varie lingue – che la giovanissima Greta Thunberg sta mobilitando vaste masse di giovani e meno giovani in tutto il mondo. Difficilmente il suo messaggio sarebbe stato altrettanto efficace se avesse parlato, più correttamente, di ‘emergenza per la società umana’ o di ‘catastrofe per la società umana create dai cambiamenti climatici indotti dalla stessa umanità’.
Dunque, attenzione massima alle parole che usiamo, quando parliamo. Ma tenendo conto sia del rigore che della comunicabilità. Perché solo il giusto equilibrio tra queste due dimensioni può rendere la comunicazione davvero efficace. E, dopo tutto, questo è ciò che noi vogliamo: che la comunicazione sui cambiamenti del clima e sulla crisi per la società degli umani che essi indicono sia la più efficace possibile.

Chi è Pietro Greco

Pietro Greco, laureato in chimica, è giornalista e scrittore. Collabora con numerose testate ed è tra i conduttori di Radio3Scienza. Collabora anche con numerose università nel settore della comunicazione della scienza e dello sviluppo sostenibile. E' socio fondatore della Città della Scienza e membro del Consiglio scientifico di Ispra. Collabora con Micron, la rivista di Arpa Umbria.

 

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