La lotta del Chiapas a quattordici anni dalla strage di Acteal

Da decine di anni il Chiapas è ostaggio degli interessi del nuovo imperialismo atlantico e dei rappresentanti del governo messicano che lo spalleggiano. Cade oggi l’anniversario dell’evento forse più tragico e al tempo stesso emblematico di questo lungo conflitto: la strage di Acteal.

La lotta del Chiapas a quattordici anni dalla strage di Acteal
Quattordici anni fa, il 22 dicembre del 1997, si compiva uno dei più orrendi massacri, per l’efferatezza con cui è stato perpetrato, della sanguinosa e secolare guerra intestina messicana. Nella piccola comunità indigena di Acteal, in Chiapas, un gruppo paramilitare – che alcuni sostengono appartenere al movimento di area priista “Mascara Roja” – fece irruzione durante una messa aprendo il fuoco contro la chiesa del villaggio in cui si celebrava e che raccoglieva in quel momento molti dei membri della comunità. I miliziani si accanirono con inaudita spietatezza sugli abitanti, uccidendo quarantacinque persone, comprese donne e bambini – la vittima più giovane, Juana, aveva solo otto mesi – e assediandoli per sette ore, finché non ebbero la certezza di averli sterminati, infierendo anche sui corpi delle donne incinte, sventrandole e asportando i feti. In tutto ciò, la polizia dell’allora presidente priista Ernesto Zedillo, attese alle porte del villaggio senza intervenire e anzi tentando di coprire la ritirata dei paramilitari una volta che si compì la mattanza. La strage di Acteal si colloca in un contesto storico-politico, quello del Chiapas, estremamente variegato e complesso, le cui numerose sventure attuali sono il retaggio delle storture introdotte dalla colonizzazione europea prima e dall’imperialismo americano poi, in cui i popoli indigeni erano e sono ancora oggi le principali vittime. La comunità di Acteal raccoglieva diversi esuli dei territori circostanti, già colpiti dalle vessazioni dei gruppi di miliziani, che aderivano al movimento Las Abejas, formato per lo più da gente Tzotzil, della popolazione Maya, che pur appoggiando le rivendicazioni politiche dell’EZLN, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, e le sue posizioni identitarie e antiliberiste, ha scelto la strada della non violenza e porta avanti la sua lotta fondandosi sul pacifismo e sulla fede cristiana. Le conseguenze giudiziarie della strage hanno avuto e hanno ancora oggi drammatici strascichi, dovuti principalmente all’operato quantomeno discutibile della giustizia messicana. Essa ha colpito infatti esclusivamente gli esecutori materiali del tremendo delitto, incarcerando cinquantasette miliziani, salvo poi liberarne ventidue per mancanza di prove. Ma l’aspetto più grave è l’impunità di cui hanno goduto coloro che hanno architettato l’operazione e i rappresentanti del Governo in essa coinvolti. Alcune dichiarazioni trapelate tradiscono infatti un intenso coinvolgimento, come per esempio quelle del Segretario del Governo Homero Tovilla Cristiani, che dichiarò che un agente del Centro Investigazioni della Sicurezza Nazionale informò il Consiglio Statale della Sicurezza Pubblica di quanto stava accadendo proprio durante lo svolgimento del massacro. Non lascia dubbi neanche il comportamento della polizia, schierata in un posto di blocco a poche centinaia di metri dal villaggio, il cui comandante ammise di essere rimasto per quattro ore in attesa, insieme ad altri due comandanti della Polizia di Sicurezza Pubblica, con i rispettivi reparti. Altre testimonianze riferiscono che, nel momento in cui si svolgeva il crimine, il generale di brigata Julio César Santiago, coordinatore del Consiglio della Sicurezza Pubblica dello Stato, si trovava ad Acteal. Nel luglio del 2008, viste le numerose testimonianze e prove che continuavano a emergere e i forti dubbi sollevati in merito all’attendibilità delle fonti su cui si basò il primo processo, il caso è stato riaperto dalla Corte Suprema, anche se oggi giustizia ancora non è stata fatta. A questo proposito, nell’agosto del 2009 i sopravvissuti alla strage hanno organizzato a San Cristóbal de Las Casas una grande manifestazione che hanno intitolato Jornada de Acción por la Verdad y la Justicia e che aveva lo scopo di denunciare l’impunità di cui godevano i mandanti della strage e il grave pericolo che avrebbe costituito la liberazione degli esecutori materiali. Inserire la strage di Acteal nel contesto politico, sociale e militare del Chiapas, una delle regioni più povere e martoriate del mondo, e del Messico in generale non è facile per diversi motivi, dalla difficoltà che si incontra nel ricostruire un quadro politico che si regge sulla corruzione e sulla connivenza, alla ingerenza di forza estranee, portatrici di interessi altri, in queste zone. L’unica certezza è la profonda contrapposizione fra due mondi completamente diversi: uno è quello rappresentato dai nativi, che ormai da secoli sono vessati dalle imposizioni coloniali e neocoloniali, mentre l’altro è quello dei vecchi e nuovi imperialisti, che in virtù di forti interessi strategici, militari ed economici non si fanno scrupoli a calpestare i diritti delle popolazioni locali. In quest’ottica è nata la lotta dell’EZLN, che dal novembre 1983 combatte al fianco degli indigeni tutelandoli dal punto di vista sociale, politico e militare. L’esordio di grande effetto e certamente chiaro per quanto riguarda le posizioni del movimento e di coloro che rappresenta è stato il levamiento, l’occupazione di sette comuni del Chiapas avvenuta quasi senza spargimenti di sangue la notte del primo gennaio 1994, in concomitanza con l’entrata in vigore dei dettami del NAFTA, il North American Free Trade Agreement, e conclusasi il giorno successivo. Culmine di quell’azione fu la lettura da parte del Subcomandante Marcos della prima dichiarazione della Selva Lacandona, in cui l’EZLN elencava le proprie rivendicazioni. Quella del Chiapas è una situazione che purtroppo trova corrispondenza in molte altre parti del mondo, dall’Irlanda alla Palestina, dal Tibet alla Birmania dei Karen. Luoghi dove gli interessi economici dei potentati mondiali, siano essi governi desiderosi di un posizionamento strategico ottimale o cartelli petroliferi in cerca di terreni produttivi, si sovrappongono ai bisogni e ai diritti delle comunità locali, portando fame, miseria, corruzione, guerre civili, devastazione ambientale e morte, non solo fisica ma anche spirituale.

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