Rivolta contro la repressione in Iraq... nel (quasi totale) silenzio dei media mainstream

Scontri e ancora scontri in Iraq, con una fase intensissima, da inizio ottobre, di proteste e rivolte sociali contro la repressione dei diritti e le enormi disuguaglianze socio-economiche. Ma i media italiani ne parlano assai poco...

Rivolta contro la repressione in Iraq... nel (quasi totale) silenzio dei media mainstream

Da inizio ottobre in Iraq è iniziata una nuova fase di proteste sociali, gradualmente sostenute da una porzione sempre più vasta parte dell’opinione pubblica e dai principali sindacati:quello degli insegnanti ha lanciato uno sciopero generale di quattro giorni, quello degli avvocati incita alla disobbedienza civile, mentre gli studenti occupano molte università nelle province del Centro-Sud e sono scesi nelle piazze in centinaia di migliaia.

Gli scontri a Baghdad si concentrano sul ponte sul Tigri che porta alla Zona Verde, «simbolo fisico e politico del potere che si barrica e non ascolta» scrive NENA, l'agenzia di stampa il cui acronimo sta per Near East News Agency. «La più alta autorità sciita del paese, l’Ayatollah al-Sistani, dopo aver condannato la brutalità della repressione, ha avvertito i governi stranieri di non sfruttare la protesta, nenia nota in Medio Oriente dove ogni mobilitazione è tacciata di influenze esterne» prosegue NENA. «Appena 24 ore prima a parlare era stato il presidente iracheno, Barham Saleh: il premier Adel Abdul-Mahdi è pronto a dimettersi (se esiste un’alternativa) e ad andare a nuove elezioni. Non prima, ha aggiunto Saleh, di una riforma elettorale. Ma non è questo che chiedono gli iracheni che da inizio ottobre sfidano la durissima repressione di polizia e milizie sciite: non vogliono elezioni per rieleggere l’identica classe dirigente ma uno stravolgimento politico, una costituzione non settaria e l’uscita dall’agone politico delle forze religiose».

Il movimento che oggi sta protestano in Iraq «è nato da giovani disoccupati che rifiutano il sistema politico costituito dal 2003, chiedono fine della corruzione e delle quote settarie nella politica irachena, esigono posti di lavoro e redistribuzione della ricchezza» spiega l'associazione "Un ponte per...". «Per strada anche moltissime donne, a volte protette da cordoni di giovani uomini, a volte alla testa dei cortei».

Dalla nuova intensificazione delle proteste, il numero totale delle vittime civili pare sia di oltre 250 e la violenza si sta intensificando.

«Difensori dei diritti umani da tutto il paese sono stati minacciati e intimiditi, o uccisi come Safaa al-Sarai a Baghdad - aggiunge "Un ponte per..." - Un’operatrice sanitaria è stata arrestata mentre curava i pazienti in un’ambulanza, un medico chirurgo mentre operava in ospedale, vari bloggers nelle loro case anche nelle città sunnite in cui la gente non osa manifestare, per paura di una repressione ancor più violenta. Gli uffici di molti giornali e televisioni sono stati devastati da raid delle milizie e i giornalisti picchiati, un avvocato è stato ucciso mentre andava ad incontrare un manifestante suo cliente. Almeno trenta difensori dei diritti umani sono misteriosamente scomparsi, altri sono stati giustiziati a casa loro come una giovane coppia di Bassora. Nelle giornate trascorse dal 25 ottobre – il nuovo “giorno della rabbia” proclamato dai manifestanti per chiedere ormai le dimissioni del governo – l’altissimo numero di vittime non fa che accrescere la partecipazione al movimento e la disobbedienza civile anche da parte di famiglie con bambini».

«Il 26 ottobre il governo ha decretato la pena capitale per chi inciti alla lotta armata sui social media, ma internet è piena di video che manifestano la creatività e la nonviolenza delle proteste - prosegue l'associazione - Alcuni membri delle Forze Antiterrorismo e della polizia locale hanno cercato di proteggere i ragazzi e spesso non è chiaro chi controlli la repressione. Il governo iracheno ha già promesso importanti riforme politiche ed economiche ma la popolazione non lo ritiene credibile ed è altamente insoddisfatta delle prime inchieste ufficiali sull’uso eccessivo della forza tra esercito e polizia».

 

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