La scala di Wittgenstein e le cinture dei kamikaze

"Possiamo distruggere il mezzo che ci ha portato altrove dopo esserci arrivati". Così dice di fare Wittgenstein alla fine del Trattato. Ma cosa succede se continuiamo a mandare in frantumi quello su cui poggiamo i piedi?

La scala di Wittgenstein e le cinture dei kamikaze
Per cambiare il nostro punto di vista, la prospettiva, per raggiungere altezze che spesso sono anche diversità occorre costruire una scala: incastrare per bene i pioli nei buchi a una certa distanza l’uno dall’altro, con perizia e attenzione, affinché mentre siamo nel mezzo o alla fine del cammino l’arnese non frani improvvisamente precipitandoci a terra. Dopo, quando saremo su, la scala potremo anche mandarla in pezzi. Non avremo rimpianti, perché l’abbiamo usata e ci è servita: ci ha portato in cima, consentendoci di aprire lo sguardo a un nuovo ed emozionante panorama. Possiamo distruggere il mezzo che ci ha portato altrove dopo esserci arrivati. Così dice di fare Wittgenstein alla fine del Trattato: il suo lavoro fin lì, spiega, è una scala con cui si è saliti sul tetto e che a quel punto si può abbandonare, lasciar cadere. Il linguaggio, oggetto della sua indagine, ha dimostrato che c’è qualcosa che il linguaggio non può dire. Per dirlo ci si è dovuti avvalere del linguaggio, ma una volta giunti alla soglia dell’indicibile la parola e il ragionamento possono fermarsi e cedere il passo alla mistica, a un piano esistenziale che non ha bisogno di espressioni verbali. Distruggere dunque quel che è venuto prima e abbiamo contribuito a costruire ingegnosamente, dopo che ci ha portato alla meta. Se invece ci si riempie la cintura di esplosivo per far saltare una stazione ferroviaria, un palazzo, migliaia di persone, noi stessi insieme a tutto il resto pur di mandare a monte il resto, sistemi e soprusi, allora la distruzione non ci porterà in nessun posto, suppongo nemmeno in paradiso. Se si manda in frantumi quello su cui poggiamo i piedi, non ci sarà altro: dovremo ricominciare sempre da capo, perderemo tempo, troveremo probabilmente gli stessi ostacoli di struttura e materiali, esterni e interiori, che qualcuno ha affrontato prima di noi, mentre -magari- tentava di cambiare il mondo. La realtà ci sta addosso e ci va stretta, ci chiude con resistenze e limiti, ci impedisce di avvicinarci, gli uni agli altri e all’ideale. Azzerare ponti e palazzi, l’ambiente in cui viviamo e che ci ha nostro malgrado, antagonisticamente, formato, e quello che (forse anche di noi) non approviamo, è un’ipotesi comprensibile ma non ragionevole, e certo non è l’unica. Comportamenti diversi da questo sono faticosi, spesso solitari, apparentemente inutili, fraintesi e scoraggiati, ma esistono. Sono fatti di pazienza e fiducia, di quotidiana purezza e ostinata prosaicità. E come al solito è una questione di scelte: tra scale e cinture.

Commenti

Bello, un pò retorico ma bello. Non c'è bisogno di distruggere alcunchè, basta riporre e possibilmente smontare e poi dire "si viveva così" e poi farsi una sghignazzata, un po' come oggi di fronte a certi disagi vittoriani che minacciano di tornare. Forse è meglio ridere solo a metà, comunque.
Marco, 15-10-2012 08:15
Distruggere è una tentazione irresistibile, almeno per la maggior parte di noi, specialmente se si subisce la realtà invece di abitarla. Penso alle situazioni in cui siamo più deboli. In fondo 'riderci su' è una conquista.
daniela, 16-10-2012 11:16

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