Lo sciopero dei Tir blocca l'economia che viaggia su gomma

Lo sciopero dei camionisti sta paralizzando il nostro sistema distributivo e portando alla luce le criticità di un apparato logistico strutturato male, inquinante e ostaggio di scelte politiche di comodo. Una prima analisi a partire da alcuni dati sul trasporto merci italiano.

Lo sciopero dei Tir blocca l'economia che viaggia su gomma
Le grandi manifestazioni di strada di questi giorni, specialmente quelle delle singole categorie interessate dal 'decreto salva-Italia', hanno evidenziato impietosamente le forti criticità da cui è caratterizzato il sistema su cui si fonda il nostro Paese. Non si tratta solo di problematiche di ordine politico, legislativo e amministrativo, che sono quelle più apertamente contestate dai movimenti e dalle associazioni di categoria che si sono attivate in questi giorni. Alcuni scioperi hanno messo in luce i malfunzionamenti strutturali, mostrando le gigantesche falle del nostro sistema di produzione e consumo. A questo proposito, particolarmente significativo è il blocco degli autotrasportatori che è in atto da alcuni giorni. Parallelamente al dibattito politico che verte sulle rivendicazioni della categoria, è partita la valutazione dei problemi innescati dalla manifestazione e la conta dei danni economici arrecati, poiché è andato in tilt uno dei passaggi della filiera più controversi, ovvero quello della logistica, del trasporto e della distribuzione. È emerso infatti in questi giorni un dato che in realtà è connaturato nel sistema distributivo italiano già da anni, ovvero che la stragrande maggioranza delle merci – circa il 90% – viaggia su gomma. Secondo un’indagine realizzata un paio d’anni fa da Eurostat infatti, è solo il 9% scarso degli approvvigionamenti italiani che viene caricato su treni, mentre il restante è trasportato da camion. La media europea del trasporto su rotaia, rileva la statistica, è del 17%, con picchi che superano il 20% in Germania. Fra l’altro questa pratica va in netta controtendenza rispetto alla linea dettata dall’Unione Europea, che già da molti anni ha deciso di puntare sulla ferrovia, certamente meno impattante dal punto di vista ambientale. Il treno infatti inquina circa cinque volte in meno rispetto al camion. Perché allora l’Italia si ostina a privilegiare il trasporto su gomma? Anzitutto si tratta di una decisione politica, a sua volta influenzata da vari fattori. Uno di essi è la condotta governativa delle Ferrovie dello Stato, che è orientata in questa direzione, come hanno sottolineato anche FerCargo e Assofer, che hanno accusato la compagnia che detiene il sostanziale monopolio del traffico ferroviario nel nostro Paese di snobbare il trasporto merci, puntando solamente sulle nuove linee di alta velocità. Questa constatazione è confermata dal dato del calo delle merci che viaggiano su rotaia, che negli ultimi cinque anni sono diminuite di circa il 40%. Dall’altra parte della barricata ci sono gli autotrasportatori, che almeno a livello quantitativo possono giocarsi carte di un certo peso. Quello della logistica stradale è però un settore abbastanza caotico e complicato da esaminare. Sono infatti circa 50.000 le aziende iscritte all’albo che però non possiedono veicoli. Complessivamente, le 113.000 ditte di autotrasporto italiane sono proprietarie di 460.000 mezzi, mediamente quattro ciascuna. Come in un’infinita catena di causa ed effetto, la stessa categoria è gravata dai recenti e rilevanti aumenti di tutti i costi di esercizio: carburante, interessi, manutenzione, ammortamento, assicurazioni. Questo naturalmente non fa altro che sparigliare ulteriormente le carte e favorire gli illeciti e le scappatoie al limite della legalità da parte di molti operatori del settore. Nel valutare il sistema logistico e distributivo italiano tuttavia non si dovrebbe prendere in esame solo il dato economico, ma anche quello ambientale. Come detto, il trasporto ferroviario è estremamente meno inquinante rispetto a quello stradale. A ciò va aggiunta la grave carenza di infrastrutture, non solo di quelle ferroviarie – sempre FerCargo denuncia la tendenza delle Ferrovie dello Stato a ridurre progressivamente gli scali merci utilizzabili –, ma anche di quelle stradali, soprattutto di quelle necessarie alla connessione fra i tragitti di medio e lungo raggio e i tragitti di corto raggio, quelli urbani. Venendo alla situazione attuale, ecco qualche numero relativo ai danni che il blocco degli autotrasportatori sta causando. Secondo Coldiretti, solo il settore agroalimentare ha perso più di 100 milioni di euro. Ancora peggiore la situazione relativa al carburante, che in Italia viaggia quasi solo su gomma; non sono ancora quantificati i danni economici, ma le code alle pompe, i distributori chiusi e i prezzi fuori controllo indicano una situazione critica. A livello regionale, Confcommercio Palermo denuncia perdite che in Sicilia si aggirano intorno ai 500 milioni di euro complessivi e parla di una sessantina di aziende costrette a ricorrere alla cassa integrazione. Oltre a dover risolvere le criticità più attuali, di ordine politico, e rispondere alle rivendicazioni delle varie categorie professionali, occorre quindi ripensare da capo l’intero sistema logistico italiano. È possibile infatti che un blocco degli autotrasporti di alcuni giorni metta in ginocchio un intero paese? Non è opportuno ricalibrare sia le modalità sia il raggio della movimentazione delle merci – ma, anche se non fa parte dell’argomento in questione, si potrebbe includere anche le persone in questo ragionamento – in modo da renderlo più razionale e meno inquinante? Piuttosto che puntare su grandi linee che collegano solo poche mete, non è forse il caso che le Ferrovie implementino la rete di trasporto locale, seguendo fra l’altro le indicazioni fornite dall’Unione Europea in questo senso? Perché non ripensare il trasporto merci urbano, potenziando l’intermodalità con centri di smistamento fuori dalle città, in corrispondenza delle stazioni, da cui poi partire con servizi di consegna urbana razionali e fondati su mezzi e tecnologie a basso impatto ambientale, per esempio elettrici? Queste sono solo alcune domande e proposte a cui, una volta fronteggiata l’emergenza, sarà fondamentale dare seguito.

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