Se non ora quando

"Credo sia importante non tirarsi fuori dal gioco, coltivando un’autoimmagine rassicurante e confortante, ma cercare nonostante tutto di sviluppare la capacità di vedere, presenti al proprio interno, tutte le caratteristiche del nostro essere umani, comprese le peggiori". Ospitiamo questa volta un contributo di Silvia Papi, ascoltatrice del 'libero spirito', che ci parla delle luci e delle ombre che vivono e convivono dentro ognuno di noi.

Se non ora quando
…Siete per sempre coinvolti Fabrizio De Andrè Un capitolo, all’interno di un bel libro del teologo tedesco Eugen Drewermann Il messaggio delle donne (pubblicato in italiano da Queriniana) fa riferimento al venerdì santo, il giorno della passione, con parole che, in questi tempi di “guerre umanitarie”, “sbarchi clandestini”, “paura del diverso”, di ipocrisie e corruzione diffuse per ogni dove, vale la pena ascoltare e su cui merita riflettere. Ne riporto alcuni passi: “In questo mondo è mille volte meglio morire come un bambino che uccidere come un adulto. (…) Perché ci risulta così pesante fare semplicemente ciò che crediamo essere la verità? E perché ci lasciamo costantemente ficcare in testa dai giornali, dalle trasmissioni radiotelevisive, dalla propaganda che la verità non ha alcuna possibilità di successo e che non è lecito viverla – per senso di responsabilità? Anche un uomo come Pilato non voleva giustiziare Gesù; ma credette di avere il dovere di farlo. Bisogna arrivare a capire questo freddo sadismo del calcolo. Anche un uomo come Caifa non voleva eliminare Gesù, credeva semplicemente di sapere che non ci si poteva più permettere quel profeta di Nazaret. Bisogna arrivare a capire questo cinismo pragmatico. Altrimenti il venerdì santo non avrà mai fine su questa terra intrisa di sangue. (…) Ogni ordine, anche se sbagliato, ha il suo esecutore materiale. (…) I peggiori delitti non vengono compiuti per il desiderio di uccidere; è più diabolica l’obbedienza, che ha paura di riflettere per conto suo sul contenuto di determinati ordini. Il predatore più terribile di questo mondo non è la pantera o il leone bensì un tipo umano che ha rinunciato a pensare, delegando la sua responsabilità ai sistemi, ai gradi, alle gerarchie. Quelli che sono sempre innocenti, questi cronici della coscienza pura, questi notissimi attivisti del dovere, sono loro i più tremendi; hanno sempre pronto il loro pretesto, portano sempre con sé il loro bravo certificato attestante che la loro coscienza è candida come il bucato, e alla fine dei conti non sono mai stati loro. (…) Non portate il cervello all’ammasso; diventate responsabili delle vostre azioni! Se non si rischia la propria libertà, la propria competenza, la propria responsabilità, il venerdì santo tornerà sempre”. A queste parole desidero fare un’aggiunta, perché credo sia importante non tirarsi fuori dal gioco, coltivando un’autoimmagine rassicurante e confortante, ma cercare nonostante tutto di sviluppare la capacità di vedere, presenti al proprio interno, tutte le caratteristiche del nostro essere umani, comprese le peggiori. È vero, la vita della maggior parte di noi scorre ai margini dei giochi di potere, lontanissima dai luoghi decisionali, indaffarata nella prosaicità del lavoro quotidiano. In questa condizione - meri osservatori dell’andar del mondo - è però facile tirarsi fuori e pensare se stessi come quelli buoni e bravi, che mai e poi mai… Di questa certezza ho paura, mi inquieta il non poter riconoscere in sé anche l’ombra del male che, messi alle strette, in situazioni differenti, buie, di pericolo, può agire come non avremmo mai pensato e cambiare la nostra fisionomia. Sento importante chiamarsi in causa, fare sforzo di immedesimazione, comprensione delle ragioni dell’altro, anche se assurde. Questo non per una volontà di giustificazione, ma perché il lavoro di comprensione aiuta noi stessi ad essere autenticamente noi stessi, con tutto ciò di cui siamo fatti, e prendere posizione, opporsi, ribellarsi - o qualsiasi atteggiamento si ritenga giusto nel momento preciso che lo richiede - senza schieramenti fanaticamente ideologici e pericolosi, in senso magari opposto, ma uguale, a quello per cui vorremmo alzar la voce. A questo proposito Etty Hillesum nel suo diario, scritto tra il 1941 e il ’43, diceva: “(… ) Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, continuavo a predicare; e non vedo nessun’altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi. È l’unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove. (…) La sofferenza non è al di sotto della dignità umana. Cioè: si può soffrire in modo degno, o indegno dell’uomo. Voglio dire: la maggior parte degli occidentali non capisce l’arte del dolore, e così vive ossessionata da mille paure. E la vita che vive la gente adesso non è più una vera vita, fatta com’è di paura, rassegnazione, amarezza, odio, disperazione. (…) E fa poi gran differenza se in un secolo è l’Inquisizione a far soffrire gli uomini, o la guerra e i pogrom in un altro? Assurdo, come dicono loro? Il dolore ha sempre preteso il suo posto e i suoi diritti, in una forma o nell’altra. Quel che conta è il modo con cui lo si sopporta, e se si è in grado di integrarlo nella propria vita e, insieme, di accettare ugualmente la vita. (…) Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all’ultimo respiro (…) Molti di coloro che oggi s’indignano per certe ingiustizie, a ben guardare s’indignano solo perché quelle ingiustizie toccano proprio a loro: quindi non è un’indignazione veramente radicata e profonda”. Fermiamoci un momento, allora; è arrivato il tempo in cui è indispensabile chiamarci in causa tutti, nessuno escluso, domandarci come e iniziare a rimboccarsi le maniche perché, come recita una frase molto usata ultimamente ma efficace: se non ora quando? Ricordandoci che - come dice bene la canzone - siamo per sempre coinvolti. Riferimenti bibliografici: Eugen Drewermann, Il messaggio delle donne. Il sapere dell’amore, Brescia, Queriniana, 2007 Etty Hillesum, Diario (1941-1943), Milano, Adelphi, 1996

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