Venezuela: si infrange il sogno del socialismo petrolifero

Nonostante l’accanita propaganda per la nazionalizzazione degli idrocarburi, il Venezuela di Chavez deve fare i conti con le golosità del sistema capitalistico e con gli interessi economici legati all'estrazione di petrolio. Il 'sogno del socialismo petrolifero' è lontano e a quattro anni dalla dichiarazione il risultato è ancora un oligopolio duro a morire, con buona pace dei venezuelani.

Venezuela: si infrange il sogno del socialismo petrolifero
Nell’enorme complesso industriale di José, nel municipio di Peñalver, dal 1990 sorge il Complejo Petroquímico General de División José Antonio Anzoátegui, che occupa una superficie di 740 ettari. Il Complesso petrolichimico è uno dei maggiori vanti dell’industrializzazione venezuelana, ma su di esso da tempo piovono forti proteste da parte delle popolazioni che vivono nei suoi dintorni. Il processo di inquinamento dell’acqua, dell’aria e del sottosuolo è iniziato praticamente dal momento stesso dell’installazione del gigante industriale ed è poi andato aumentando negli anni. Pedro Cavana, presidente della Fundación ecológica de Peñalver chiede che vengano effettuati studi sulla qualità dell’aria e della salute dopo che migliaia di cittadini che vivono nelle zone limitrofe di José hanno denunciato un forte aumento dei casi di asma, malattie gastriche ed alterazione dell’ecosistema - con il deterioramento delle piante, la morte di numerosi uccelli e coralli - il tutto avvolto in nubi di odori nauseabondi che ammorbano l’aria. In questo caso le proteste non sono rivolte esclusivamente all’impresa petrolifera statale Petróleos de Venezuela, ma anche alle tre multinazionali che insieme all’impresa di Stato formano una sorta di cordata, nonostante i propositi di Chavez di liberare la Repubblica bolivariana dagli imperialisti stranieri: la Chevron (Usa), la Bp (Gran Bretagna), la Statoil (Norvegia). L’organizzazione Gente del Petróleo ha chiesto alle tre multinazionali di gestire adeguatamente il carbone e lo zolfo, mentre la statale Petróleos de Venezuela ha risposto che entro quattro mesi inizierà a smaltire il materiale stoccato nei cantieri di José. Resta comunque il fatto che la politica del cosiddetto 'socialismo petrolifero' di Chavez solleva numerosi interrogativi. Soprattutto uno: perché si spendono tante energie in una massiccia campagna contro la presenza straniera sul territorio venezuelano e poi si scopre che nel cuore pulsante dell’economia (il Venezuela, lo ricordiamo, è membro dell’Opec a tutti gli effetti), non una ma addirittura tre multinazionali fanno quello che vogliono? All’alba della sua vittoria un Chavez raggiante dichiarava solennemente che il petrolio del Venezuela non sarebbe stato di pochi, ma di tutti. Di tutto il mondo, addirittura. Oggi la situazione è quella di un quadrinomio in cui tre firme straniere controllano una parte consistente della produzione petrolifera (600.000 barili da 159 litri ciascuno al giorno più o meno), alla faccia del processo di nazionalizzazione del settore. Viene da chiedersi che cosa sia diventato questo socialismo bolivariano che Chavez, fresco di vittoria, sbandierava al paese ed al mondo e cosa ci sia effettivamente dietro questa nazionalizzazione degli idrocarburi che sta assumendo sempre più i risvolti di un’opera buffa. Víctor Poleo, professore di Economia petrolifera all’Universidad Central de Venezuela, sostiene che la fascia petrolifera dell’Orinoco è già stata devoluta agli interessi del capitale globale da più di due anni, mentre il Presidente continua a dire di voler occupare il cuore dell’impero proprio in quella zona. La Faja Petrolífera del Orinoco, è la fonte di riserve di idrocarburi liquidi più grande del mondo e comprende un’estensione di 55.314 chilometri quadrati e un’area di sfruttamento attuale di 11.593 chilometri quadrati, a sud degli Stati Guárico, Anzoátegui e Monagas. Il greggio che vi si produce serve principalmente per essere convertito in petrolio leggero e medio per la produzione di benzina, per produrre elettricità e fabbricare olimulsione, un’emulsione a base di greggio pesante e acqua, per impianti termici al quale Chavez ha rinunciato in favore degli interessi esterni. La olimulsione è un prodotto sviluppato in Venezuela per un ventennio, venduto ad impianti sparsi per mezzo mondo - in Canada, Sudest asiatico, Cina, Danimarca, Italia, Inghilterra - ma nel 2005 Chavez decise di porre fine al progetto con la giustificazione che si stesse vendendo greggio al prezzo del carbone. Il processo di nazionalizzazione, più o meno con la forza, è stato sdoganato per la prima volta nel 2007. Sono passati quattro anni e a quanto pare nemmeno il socialismo bolivariano apparentemente così aggressivo contro gli yankee può nulla contro i lustrini del profitto e del capitale.

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