VIA: quel giorno attorno ad un tavolo

La Valutazione di Impatto Ambientale: uno strumento di trasparenza e di partecipazione troppo spesso svuotato dalle amministrazioni locali. Il Coordinamento dei Comitati e delle Associazioni ambientaliste della provincia di Grosseto ci spiega perché raccontando di un caso concreto: quello relativo allo stabilimento del Casone di Scarlino.

VIA: quel giorno attorno ad un tavolo
Quel giorno intorno ad un tavolo dell’Ufficio Ambiente, settore rifiuti della Regione Toscana, si sono ritrovati i componenti del Comitato Tecnico Regionale, convocati per esprimere un parere all’Assessore all’Ambiente e alla Giunta Regionale. Tale Comitato era composto da tecnici apparentemente autorevoli, sia docenti universitari di geologia, di geochimica ambientale, sia responsabili di vari Uffici pubblici, preposti alla salvaguardia della salute umana e dell’ambiente. Alcuni di loro ricoprono oggi posti apicali in seno alla amministrazione della Regione Toscana in materia di rifiuti. Il Comitato era stato riunito intorno a quel tavolo per esprimere un parere necessario (art.10 della L.R. 65/84), in merito ad una richiesta inquietante presentata dalla Soc. Nuova Solmine Spa, del gruppo ENI, la quale chiedeva alla Regione Toscana di poter utilizzare come materia prima seconda, cioè riusabile per vari scopi, le ceneri di pirite, rifiuto della produzione di acido solforico dello stabilimento del Casone di Scarlino. I membri di tale Comitato Tecnico erano sicuramente in imbarazzo, perché da anni l’ENI aveva lasciato, stoccate a piè di fabbrica, oltre un milione e mezzo di tonnellate di ceneri di pirite, che erano state già classificate come rifiuto tossico e nocivo. Dai forni a letto fluido in cui si fondevano le piriti ferrose, ma anche le arseno piriti, si aveva, in uscita, una cenere in cui si concentravano tutti i metalli e metalloidi presenti nei minerali in concentrazioni molto più modeste. Quelle ceneri hanno un contenuto pericoloso di Arsenico, che è un potente cancerogeno, oltre ad essere tossico e i terreni, su cui sono stati accumulati quei rifiuti, sono soggetti a subsidenza, essendo di recente bonifica per colmata e da pochi decenni strappati al padule di Scarlino. Come poter riutilizzare e distribuire nell’ambiente un rifiuto tossico e nocivo per la salute umana? Come poterlo fare quando la legge lo vieta espressamente? Agli atti del procedimento penale n° 01/3325, conservato presso la Procura della Repubblica di Grosseto, è inclusa una copia manoscritta degli appunti, relativi a questa riunione ufficiale del Comitato Tecnico Regionale, in cui una verbalizzante, riporta i pareri dei vari componenti e delinea una discussione difficile, a momenti anche conflittuale. La Regione Toscana, negli anni precedenti, aveva già affrontato tale problema con ben due procedimenti di Valutazione di Impatto Ambientale ben fatti. Il primo era stato commissionato per la caratterizzazione delle ceneri e per l’analisi dell’inquinamento in atto; il secondo affrontava la scelta di una discarica in zona, capace di ricevere in sicurezza tali rifiuti. Infatti, quella massa dei rifiuti, alta 15 metri sul piano di campagna (detta dai locali “il panettone”) era sprofondata per oltre 5 metri e giaceva a contatto con la prima falda idrica, avvelenando anche questa, oltre che dilavare e avvelenare i terreni circostanti. Quello di Scarlino, con la precedente storia di rifiuti scaricati in mare che aveva prodotto anche un piccolo conflitto militare con i pescatori Corsi, che sparavano sulle navi italiane, era uno dei più gravi e conosciuti problemi di inquinamento ambientale presenti in Toscana e quel Comitato Tecnico, informato dei precedenti studi sull’inquinamento delle falde idriche, si era già riunito più volte, senza arrivare ad una decisione condivisa. Inoltre alcuni dei componenti del Comitato erano tra gli estensori degli stessi Studi di Impatto Ambientale su tali ceneri. Questa volta però presiedeva il Comitato Tecnico l’Assessore all’Ambiente, che infine imporrà una decisione condivisa da tutti. Allegato alla richiesta della soc. Eni, c’è uno studio di due professori universitari di Pisa. Uno di questi è presente ai lavori del Comitato assieme ad un professionista, entrambi incaricati da ENI a sostenere, nonostante le conclusioni delle precedenti Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA), la possibilità che le ceneri di pirite possano essere utilizzate per la produzione di cementi, per le ripiene dei vuoti in miniera e per la realizzazione dei rilevati stradali, in particolare, si proponeva di collocarle sotto il manto di asfalto della superstrada Aurelia, in costruzione in quegli anni tra Livorno e Grosseto. Sì, avete letto bene… Alle ripetute richieste di alcuni membri del Comitato su come poter autorizzare legalmente l’uso di tale rifiuto, considerato un rifiuto tossico e nocivo dalla legge nazionale, risponde, sempre secondo gli appunti scritti dalla verbalizzante, l’Assessore all’Ambiente della Regione Toscana. Egli avrebbe sostenuto che, quando la Giunta regionale classificherà tale rifiuto come materia prima seconda, automaticamente verrà annullata la qualifica di rifiuto tossico nocivo voluta dalla legge nazionale (!). Ma questa prepotente e arrogante affermazione dell’Assessore, confermata anche dal contenuto delle successive risposte registrate, non riesce a convincere tutti i presenti. C’è chi chiede come si comporteranno tali ceneri a contatto dell’acqua, che per infiltrazione attraverserà il rilevato stradale; c’è chi chiede cosa potrà succedere quando, nella possibile ipotesi di realizzare una variante del tracciato, quel materiale ritornerà ad essere riposizionato in superficie. Ancora, c’è chi chiede cosa potrà succedere in futuro visto che l’Aurelia attraversa aree a forte rischio idraulico con possibili alluvioni. L’assessore all’Ambiente risponde che si fa garante dei futuri controlli su tale discarica. Ma concepire una discarica “lineare”, lunga molte decine di chilometri, che fa aumentare tutti i rischi di inquinamento, è difficile da accettare e, nonostante la prepotenza, l’Assessore non riesce a convincere tutti i presenti, alcuni dei quali chiedono di porre delle prescrizioni puntuali: le due precedenti Valutazioni di Impatto Ambientale, in questo modo, non verrebbero sconfessate e sarebbero fatte salve dalle future prescrizioni, che la Giunta regionale si impegna a decretare e a far rispettare. È a questo punto che in quel tavolo prende la parola il responsabile provinciale dell’Ufficio pubblico, invitato espressamente per l’occasione ai lavori di quel Comitato, con il mandato di sovrintendere alla salute dei cittadini e dell’ambiente. In Regione Toscana sono democratici e tale dirigente conosce meglio di altri il territorio. Egli suggerisce, a questo punto, di collocare tali ceneri non nella discarica autorizzata, già individuata in sede di VIA, ma suggerisce al Comitato di collocare le ceneri “solamente” nella parte di superstrada che attraversa quella parte del territorio provinciale in cui si è già registrato l’inquinamento da arsenico. L’ENI potrà così risparmiare i costi del collocamento nella discarica già individuata, che sarebbero molto elevati, visto che va realizzato un adeguato isolamento della discarica stessa. “Piuttosto che niente è meglio piuttosto”, si dice in Maremma e l’Eni e l’Assessore vanno accontentati… Tutti gli interventi in quella riunione del Comitato si sono incentrati, stante quegli appunti, intorno al tema che tali rifiuti erano comunque tossici e nocivi e che, quindi, le prescrizioni dovessero rammentare tale caratterizzazione. Ma tale qualifica, che è menzionata anche nel verbale definitivo, scompare dalla successiva delibera della Giunta regionale che autorizza l’uso di tali rifiuti. Sta di fatto che una parte di tali rifiuti, anziché finire in discariche a norma di legge, isolate e impermeabili alle acque, ma costose per l’ENI, finirono, con autorizzazione regionale, in varie parti del territorio e anche nella miniera di Campiano, avvelenando il Merse, che scorre sulla parte meridionale della provincia di Siena. Scrive nel 2003 il magistrato della Procura di Grosseto che ordinò il sequestro di quei verbali nel palazzo della Regione a Firenze: "L’inadeguatezza dell’operato delle predette pubbliche amministrazioni fa legittimamente sorgere sospetto di collusioni e quindi di abusi commessi per favorire la realizzazione dello scellerato progetto". Ma, nonostante lo “scellerato progetto”, tutto rimane come se nulla fosse stato accertato, l’inquinamento nel frattempo si estende anche nelle falde idriche più profonde; nei sedimenti marini l’Arpat trova elevate concentrazioni di Arsenico, i molluschi prelevati sulla costa sono immangiabili, diversi pozzi artesiani vengono sigillati con Ordinanze sindacali, perché inquinati. Al danno si aggiunge la beffa: i forni a letto fluido, che fondevano prima le piriti, non più utili all’ENI per estrarre lo zolfo, vengono pochi anni fa ceduti ad una delle Cooperative emiliane, la UNIECO e oggi inceneriscono i rifiuti, grazie ad una recente Valutazione di Impatto Ambientale positiva all’esercizio dell’ impianto come inceneritore di rifiuti. Le ceneri di pirite sono ancora oggi in gran parte collocate a piè di fabbrica (nonostante le omissioni della Regione Toscana, l ‘ENI non ce l’ha fatta ad eliminare il milione e mezzo di tonnellate di ceneri accumulate in un ventennio di attività), il tutto sempre nel sostanziale non rispetto della legislazione sulle bonifiche, del divieto di costituire stoccaggi provvisori di rifiuti, ecc. ecc. Le modalità con cui la Regione Toscana prima (nel decidere dove collocare le ceneri di pirite) e la Provincia di Grosseto oggi (nell’autorizzazione ad incenerire rifiuti nei vecchi forni di fusione delle piriti) hanno usato la VIA, meritano un serio approfondimento per consentire una chiara riflessione politica. Infatti queste amministrazioni pubbliche, violentando uno strumento prezioso, di trasparenza, di partecipazione democratica e garantista, qual è la VIA, svelano una loro collocazione politica sconosciuta ad una larga parte della cittadinanza. La legislazione vigente in materia di VIA (L.R. n.79/98), chiede esplicitamente che con lo Studio di impatto Ambientale il soggetto obbligato debba produrre: “La descrizione delle condizioni iniziali dell’ambiente… La descrizione delle componenti dell’ambiente soggette a impatto ambientale… con particolare riferimento… al suolo e sottosuolo… e all’integrazione tra i vari fattori;… La descrizione dei probabili effetti rilevanti… dovuti all’azione cumulativa dei vari fattori…” Questo perché, come la legge nazionale e quella comunitaria di riferimento chiariscono bene, l’oggetto della valutazione non è un impianto a sé stante. Tale Studio, infatti, è rivolto alla verifica della capacità dell’ambiente a sostenere, nei limiti stabiliti dalla legge, ulteriori emissioni o carichi ambientali previsti con l’introduzione in quell’ambiente di un nuovo impianto. La piana di Scarlino, e il sito in cui è collocato l’impianto di incenerimento oggetto della recente VIA, come detto sopra, sono pesantemente inquinati per la presenza di Arsenico e di altri metalli tossici, ben oltre gli standard previsti dalla legislazione comunitaria ed italiana. Ciò è certificato dall’inserimento del sito nei Piani regionali e provinciali di Bonifica, sulla base di studi qualificati. Questi studi ufficiali testimoniano una gravissima condizione del sito, in particolare segnalando: 1. presenza di depositi residui delle lavorazioni industriali distribuite su tutto il territorio sia all’interno che all’esterno dell’area occupata dagli impianti, ben oltre la perimetrazione dei siti inquinati individuati dal Piano regionale e provinciale delle bonifiche. Tali rifiuti permangono tuttora sul terreno e contribuiscono costantemente al peggioramento della situazione in atto. Le bonifiche, avviate solamente su alcuni siti, sono parziali come testimonia la stessa ARPAT e a tutt’oggi non completate, ma sopratutto assolutamente non definitive secondo quanto previsto dalle legislazioni vigenti, la 152/06 e la 471/99; 2. presenza di inquinamento nelle prime due falde superficiali per l’alterazione, dissoluzione e messa in circolo di Arsenico, proveniente dai depositi di rifiuti sopra citati, che nella stagione umida vengono a contatto con la superficie dei terreni agricoli e li rende estremamente pericolosi, con concentrazione in Arsenico molte centinaia di volte superiore ai limiti di legge, falde mai esattamente delimitate, correttamente circoscritte e bonificate in nessuno dei vari progetti “definitivi” di bonifica fino ad ora approvati e sono stati limitati alla superficie interna alle varie proprietà di superficie; 3. presenza di un reticolo idrografico di superficie che nella stagione piovosa distribuisce l’Arsenico, e gli altri metalli pesanti, su tutta l’area della Piana di Scarlino sino al mare, ove già sono documentati da Arpat inquinamenti da Arsenico sulle sabbie. Come detto sopra, alcuni pozzi artesiani già sono stati chiusi, in punti assai più lontani dai siti individuati come inquinati dal Piano Regionale, per la presenza elevatissima di Arsenico. Alle varie Osservazioni, presentate nella fase di confronto democratico e partecipazione del pubblico al procedimento di VIA, elaborate sul punto in questione dal Comune di Follonica, dal Comune di Scarlino e da Associazioni e Comitati ambientalisti, circa la mancanza, nello Studio di Impatto Ambientale , sia della definizione dello stato iniziale del sito che dell’azione cumulativa dei vari fattori, la società proponente l’impianto risponde: • al Comune di Scarlino, che l’analisi delle condizioni iniziali: “non è materia da SIA del termovalorizzatore…” e che “la legge non lo avrebbe richiesto” (!!), confondendo strumentalmente la caratterizzazione del sito oggetto dello Studio di Impatto Aambientale (SIA) con “l’onere di procedere alla valutazione che coinvolgano altre attività industriali”; • alle Associazioni ambientaliste, che tali Osservazioni non meritano una risposta “…in quanto non attinenti al progetto in oggetto di esame, ma relative a problematiche di altro genere che seguono un percorso a sé stante nelle sedi dovute (procedura di bonifica in corso)”!! . Ciò nonostante, la Provincia, concede la VIA positiva, omettendo di esigere tale valutazione prescritta dalla legge, rimandando e delegando, con le proprie prescrizioni, la valutazione dell’inquinamento in atto ad altro soggetto e a tempi futuri, cioè al Comune di Scarlino, a cui competono le procedure di bonifica in corso. Ma, come visto sopra, la Provincia e il Comune hanno approvato progetti di bonifica con modalità molto parziali, incomplete, e comunque non esaustive, come sostiene anche l’ARPAT, in quanto tali progetti risultano privi della caratterizzazione e della bonifica delle falde e dell’identificazione di tutte le fonti inquinanti. Il colmo degli abusi, compiuti in sede di valutazione positiva di quest’ultimo Studio di Impatto Ambientale, sta nell’aver accettato la tesi della società proponente l’inceneritore di rifiuti, secondo cui gli scarichi liquidi dell’impianto di trattamento fanghi, provenienti dal lavaggio delle ceneri e dei fumi prodotti nella combustione dei rifiuti, pur contenenti Arsenico e metalli tossici in discrete quantità, non presenterebbero alcun impatto solo perché per lo scarico si utilizza una conduttura impermeabile (!), senza curarsi dove lo scarico viene riversato, cioè nel canale che riporta in mare le acque di raffreddamento dell’impianto. “Piove sul bagnato!” La popolazione locale, nonostante la complessità della vicenda, esprime un vasto dissenso e una forte mobilitazione contro i decisori politici e il nuovo presidente della Provincia di Grosseto, quello attuale, è costretto a riaprire la fase di contraddittorio pubblico sulla VIA e nomina una Commissione di Inchiesta pubblica, incaricata del riesame della valutazione precedente. Ma, nonostante il parere conclusivo della Commissione di Inchiesta Pubblica, (parere peraltro espresso all’unanimità dai 5 membri incaricati), con cui si raccomanda la revoca in autotutela della Determinazione Dirigenziale che esprimeva parere favorevole, la nuova amministrazione conferma la valutazione positiva. Oggi il Comune di Follonica, amministrato dalle stesse forze politiche che governano la Provincia di Grosseto e la Regione Toscana è costretto a ricorrere al TAR, a sostegno dei ricorsi giudiziari promossi dal Comitato di cittadini e da tutte le Associazioni Ambientaliste (Legambiente esclusa), scontrandosi con l’attuale assessore regionale all’Ambiente, che difende in maniera arrogante le scelte fatte. La domanda è: il berlusconismo è nato ad Arcore, oppure in Toscana era già di casa? Alcuni dei documenti originali sono qui Articolo tratto da Coordinamento dei Comitati e Associazioni ambientaliste della provincia di Grosseto

Commenti

Conoscere tutta la verità sulle cause dell'inquinamento da arsenico ( senza parlare di altri metalli quali il mercurio, il manganese, il cromo ecc....) e dover sopportare l'arroganza dei poteri politico-economici noncuranti del territorio e della salute dei cittadini solo per i loro loschi affari, di sicuro porterà ad una ribellione della cittadinanza che, se non smorzata con fatti ed atti conseguenti per la soluzione del problema, avrà conseguenze incontrollabili.
antonino vella, 21-02-2014 02:21

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