Biocarburanti: l'Europa ci ripensa, ma non abbastanza

Le istituzioni europee aprono a una revisione della politica comunitaria in tema di biocombustibili, in risposta alle ripetute denunce per la sottrazione di terre fertili alla produzione agricola e per le conseguenze della deforestazione sulle emissioni di gas a effetto serra. Ma la prospettiva verso cui l'Ue si orienta, cioè carburanti di seconda generazione ottenuti dalla combustione di rifiuti, non risolve il problema.

Biocarburanti: l'Europa ci ripensa, ma non abbastanza
In un mondo complesso è difficile che si diano soluzioni buone in assoluto. Così anche i biocarburanti, che l'Unione europea ha individuato e promosso, anche economicamente, come alternativa ai combustibili fossili e cuore della strategia per la riduzione delle emissioni nel settore dei trasporti, hanno rivelato nell'arco di pochi anni una serie di lati oscuri. Dalla deforestazione - che è distruzione di habitat e biodiversità, ma anche della capacità di assorbimento delle emissioni assicurata dagli alberi - al problema del cambiamento della destinazione d'uso del suolo, che minaccia la sicurezza alimentare globale, attraverso l'aumento dei prezzi dei generi alimentari, la diffusione di monocolture intensive e l'espropriazione dei terreni agricoli, soprattutto fuori dall'Europa. Tanto che nell'ottobre 2012 il relatore speciale Onu sul diritto umano al cibo Jean Ziegler parlò di “crimine contro l'umanità” nel descrivere una situazione in cui nonostante “l'enorme numero di persone che ogni giorno soffrono la fame” si incentiva la coltivazione di “palma da olio, soia o canna da zucchero per nutrire delle automobili". A ciò si aggiungono i dubbi circa l'efficacia del ricorso ai biocarburanti per ridurre l'impatto ambientale dei trasporti, quando il rapporto tra la quantità di energia necessaria a produrli e quella ricavata dal loro utilizzo risulta non sempre vantaggioso e i consumi idrici sono stimati in circa tre volte quelli richiesti dalla produzione dei combustibili tradizionali. Tutti questi 'effetti collaterali' non sono probabilmente una sorpresa per le istituzioni europee: non a caso, tanto la direttiva n. 70 del 1998 sulla qualità della benzina e del diesel quanto la n. 28 del 2009 sulla promozione delle fonti rinnovabili hanno affidato alla Commissione Ue il compito di monitorare questi e altri eventuali rischi connessi alla scommessa sul biofuel. In queste settimane quell'attività di monitoraggio si sta concretizzando in una proposta di revisione delle due direttive, una serie di modifiche per affrontare il fatto - si legge nel testo dell'Esecutivo Ue - che “le emissioni associate al cambiamento indiretto della destinazione dei terreni possono annullare alcune o tutte le riduzioni di emissioni di gas a effetto serra dei combustibili fossili che i biocarburanti sostituiscono”. Tra le proposte avanzate da Bruxelles c'è, ad esempio, l'idea di mettere un limite al contributo dei biocarburanti e dei bioliquidi prodotti da coltivazioni a scopo alimentare e di introdurre un sistema di incentivi che promuova la transizione verso biocombustibili avanzati prodotti da materie prime che non generano un'ulteriore domanda di terreni (senza specificare a quali materie prime si faccia riferimento). E ancora, la Commissione europea propone un monitoraggio annuale delle emissioni, comprese quelle associate al cambiamento indiretto della destinazione dei terreni, e più controlli su come si producono i biocarburanti di seconda generazione. Parlamento europeo e Stati membri hanno già avviato la discussione sul testo: le commissioni Energia e Ambiente del Pe l'hanno fatto il 20 febbraio, in vista del voto in programma per luglio; i ministri dello Sviluppo economico dei 27, riuniti nel Consiglio Energia, ne hanno invece discusso il 22 febbraio e il 21 marzo affronteranno il tema anche i ministri dell'Ambiente. Ma se già la bozza della Commissione Ue risultava piuttosto vaga, in Parlamento va peggio: la soluzione prevalente individuata dagli eurodeputati per ridurre i cambiamenti di uso del suolo consiste nel passare a biocarburanti 'avanzati' prodotti a partire dalla combustione dei rifiuti. Quella stessa combustione che le istituzioni comunitarie scoraggiano nel momento in cui il tema è la gestione dei rifiuti stessi. In quest'ultimo caso le priorità sono prevenzione degli scarti, recupero e riciclo e si pongono gli inceneritori come soluzione estrema; ma se il tema cambia, bruciare i rifiuti appare come una soluzione. Addirittura da incentivare economicamente. Non va molto meglio in Consiglio, dove anche la delegazione italiana non sembra cogliere la contraddizione e si limita a chiedere di tutelare chi ha già investito nei biocombustibili di prima generazione e di rafforzare il sistema europeo di certificazione dell'origine delle materie prime, per evitare ricadute negative sull'ambiente. Fuori dal coro la Danimarca che, prendendo atto dall'impatto limitato dei biocarburanti in termini di emissioni, suggerisce di non concentrarsi troppo su questa strada. Piuttosto, aggiunge il ministro danese, sarebbe meglio incentivare di più i veicoli elettrici.

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