Il caso Assange: accuse, geopolitica e libertà d’informazione

Il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, si trova in una situazione particolarmente complicata: accusato di reati sessuali in Svezia, è attualmente rifugiato presso l’ambasciata ecuadoriana a Londra, temendo di essere estradato dalle autorità britanniche nel paese scandinavo e quindi da quelle svedesi negli Stati Uniti. Ne è nato un caso politico internazionale.

Il caso Assange: accuse, geopolitica e libertà d’informazione
Julian Assange si trova da un paio di mesi presso l’ambasciata dell’Ecuador, in Inghilterra, dove ha ottenuto, il 16 agosto scorso, lo status di rifugiato politico. La sua “fuga” è dovuta a una richiesta di estradizione che la Svezia ha inoltrato al governo inglese motivata dalle accuse rivolte, da parte di due donne, rispettivamente di molestie sessuali e stupro. Il fondatore di Wikileaks fu già interrogato nel 2010 dalle autorità svedesi e lo stupro che gli era stato imputato venne derubricato in molestie, reato che non prevede l’arresto immediato. Dopo che ebbe lasciato il suolo scandinavo però, il Pubblico Ministero Marianne Ny ripristinò la vecchia accusa e, nel novembre dello stesso anno, ottenne un mandato di arresto europeo nei confronti dell’imputato. La renitenza di Assange a presentarsi di fronte al giudice svedese è motivata dal timore che il paese scandinavo conceda l’estradizione negli Stati Uniti, acerrimi rivali di Wikileaks, dove il giornalista australiano rischierebbe di essere processato per spionaggio e tradimento. La vicenda ha però assunto una rilevanza internazionale ed è sconfinata dall’ambito strettamente legale assumendo altre e più ampie implicazioni. Da un lato, infatti, è diventata una questione legata al bilanciamento dei rapporti di forza geopolitici, con i paesi del blocco occidentale-atlantista rappresentati dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti, che per la verità sinora sono rimasti seduti in panchina, contrapposti ad alcuni degli “stati canaglia”, ovvero l’Ecuador di Correa prontamente spalleggiato da Hugo Chavez e dall’Unione delle Nazioni Sudamericane. Dall’altro lato, ha innescato nuovamente il dibattito in merito alla libertà di stampa e alla faziosità del quadro presentato oggi dai mass media appartenenti al mainstream. Proprio in virtù delle proporzioni raggiunte però, o forse a causa di esse, alcuni dettagli presentano lati oscuri e contraddizioni che gettano un’ombra sull’intera faccenda. Per esempio, la corrispondenza fra il legale svedese e quello inglese di Assange, rivela un comportamento scorretto da parte di Marianne Ny. Il punto su cui insiste maggiormente l’avvocato Björn Hurtig è la volontà di Julian di fornire la propria versione dei fatti, seppur in contumacia, possibilità sempre respinta dal Pubblico Ministero svedese. Particolarmente spinosa è anche la questione riguardante le implicazioni legali nel caso in cui Assange venisse consegnato alla Svezia ed essa decidesse a sua volta di estradarlo negli Stati Uniti. Anzitutto, gli accordi che il governo americano intrattiene con diversi paesi europei, fra cui la stessa Svezia, prevedono che l’estradizione non venga concessa per reati politici e sarebbe abbastanza facile per il fondatore di Wikileaks dimostrare che proprio di questo si tratta nel suo caso. Inoltre, pur ammettendo che l’estradizione andasse a buon fine, il processo si rivelerebbe ostico per l’accusa, poiché la giurisprudenza americana è privo di precedenti significativi analoghi a questo caso specifico. La legge riguardante lo spionaggio sembra la più appropriata da applicare, poiché punisce chi pubblichi informazioni riservate ottenute illegalmente e suscettibili di essere usate contro gli Stati Uniti e a vantaggio di paesi stranieri. In ogni caso, forse proprio per l’incertezza normativa, il governo americano è rimasto per ora piuttosto abbottonato sulla vicenda, evitando anche di inviare una richiesta formale di estradizione alla Svezia. Lo stesso Ministero della Giustizia svedese ha peraltro assicurato che l’imputato non verrà comunque estradato in nessun caso se per lui vi fosse la possibilità di essere condannato a morte. Il rischio che si corre nell’esaminare l’intera faccenda consiste nel mischiare elementi che in realtà vanno tenuti ben distinti. In primo piano, almeno dal punto di vista legale, c’è l’accusa per molestie sessuali e stupro che pende sul capo di Assange: è indubbio che, in linea di principio, il fondatore di Wikileaks debba essere giustamente interrogato e processato per questo presunto reato. Viene però quasi spontaneo bollare quest’accusa come fittizia o quantomeno come una ghiotta occasione per mettere fisicamente le mani sul giornalista australiano e renderlo inoffensivo, anche screditandolo sul piano personale. Solo un processo giusto e leale potrà stabilire la verità. Altro capitolo è quello relativo al conflitto, per ora fortunatamente solo mediatico, fra i vari attori della vicenda: le autorità inglesi, quelle ecuadoriane con i loro supporters, Chavez in testa, e quelle svedesi. Da più voci – la più recente quella di Cavallini del Fatto Quotidiano – si sollevano dubbi in merito all’alleanza Assange-Correa, il presidente dell’Ecuador, da molti ritenuto acerrimo nemico della libertà di stampa, come dimostrerebbe la 104esima posizione che il paese latinoamericano occupa nella relativa classifica. In realtà l’osservazione sembra pretestuosa, poiché dà per scontato che i media ecuadoriani e internazionali siano ligi all’etica professionale, mentre hanno dimostrato in molti casi di essere apertamente schierati contro Correa e il suo governo, che nello scacchiere geopolitico globale si pongono a loro volta in netto contrasto rispetto alla corrente dominante, quella atlantica. In tale conflitto, i mass media giocano un ruolo determinante e spesso ricoperto con faziosità, come testimonia in maniera lampante il caso della rivolta siriana. Terzo aspetto da affrontare è il ruolo di Wikileaks come istituzione – non va dimenticato che la legge americana, e prima di essa la deontologia del giornalista, scagiona chi pubblica informazioni riservate ma di interesse pubblico, condannando solo chi le “ruba” materialmente. La creatura di Assange ha incassato la solidarietà di moltissime persone, grate al sito per il lavoro informativo che ha svolto nel 2010. Per certi versi, inoltre, si ritorna alle origini: all’esordio di Wikileaks molti si chiesero, soprattutto constatando la facilità con cui alcune scottanti e riservatissime informazioni venivano diffuse, se questa nuova fonte fosse attendibile e non un mero specchietto per le allodole. Tali dubbi sono tornati d’attualità oggi, nel momento in cui il suo factotum si trova a doversi districare da una così complicata situazione. Tuttavia, la manifestazione di solidarietà tributata ad Assange va letta, a mio avviso, come una rivendicazione più generica volta a ottenere un’informazione realmente libera da condizionamenti e senza mistificazioni, diversamente da come avviene oggi. Dal riscaldamento globale alla guerra in Siria, sono troppe le tematiche che hanno subito una censura da parte di chi ha interesse che determinati argomenti rimangano avvolti da una impenetrabile nebbia. L’informazione la fa anche, forse soprattutto, il lettore, analizzando le varie fonti, comparandole, stabilendone l’approccio e il taglio e creandosi alla fine un quadro basato sulle proprie valutazioni. Ma quando tali fonti forniscono notizie parziali o non le forniscono affatto, la realtà oggettiva non può in alcun modo venie a galla e rimane solo quella soggettiva di coloro che hanno il potere e l’interesse a manipolare l’informazione stessa.

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