Cinzia Boniatti: «È ora di restituire alle persone il tempo di vivere»

Cinzia Boniatti è uno dei volti nuovi che il Movimento 5 Stelle candida al Senato alle elezioni del 4 marzo prossimo. Sociologa, 58 anni, esperta di innovazione sociale nell'ambito della pubblica amministrazione, ha in mente un messaggio molto chiaro: "Bisogna restituire alle persone il tempo di vivere".

Cinzia Boniatti: «È ora di restituire alle persone il tempo di vivere»

Era il 2012 quando Cinzia Boniatti prese parte a un incontro pubblico nel quale Paolo Ermani, presidente dell’associazione Paea, presentava il libro scritto assieme a Valerio Pignatta, “Pensare come le montagne”. E fu una sorta di folgorazione: «Tutto quello di cui parlava trovava in me una profonda risonanza – spiega Cinzia - Finalmente pensai: anche in Italia qualcuno si muove verso la ricerca di altri stili di vita che restituiscano alle persone il tempo di vivere. Ed è questo ciò a cui tengo moltissimo, oltre ai temi di una necessaria sostenibilità e di un cambio di paradigma».

Negli ultimi anni Cinzia Boniatti si è avvicinata al mondo degli ecovillaggi e alla rete nazionale che li rappresenta. Non solo; «Ho frequentato i corsi dell’Ufficio di Scollocamento su come cambiare vita e lavoro; ho visitato in Europa le più interessanti comunità di cohousing,  il LEF- future center; ho partecipato ai Festival di Experiment Days; ho studiato la sociocrazia e la Comunicazione Non Violenta; ho frequentato un master post universitario per capire meglio l’innovazione sociale e come avviare filiere virtuose di business sostenibile. Ho avuto l’opportunità di imparare da grandi maestri come Jasom Jay (MIT Sloan Sustainability), Filippo Addarii (EuropeLab alla Young Foundation e fondatore di Plus Value), Antonino Vaccaro (professore associato di Business Ethics allo IESE di Barcellona). Insomma, ho voluto comprendere fino in fondo il cambiamento e la motivazione per cui è necessario».

E da qui una profonda riflessione sugli stili di vita e sulla frenesia che oggi ci rende schiavi. «Da diversi anni la rapida e invasiva penetrazione delle tecnologie informatiche per la comunicazione ha cambiato il mio modo di lavorare e di vivere e ho iniziato a dubitare che fosse solo in meglio – prosegue Cinzia - Vivendo in Trentino, da persona cresciuta in un ambiente sano dove la natura e la vita all’aperto possono essere fonti di grande benessere quotidiano, mi sono resa progressivamente conto che, tra impegni di lavoro e il tempo trascorso davanti a un computer, riesco a dedicarmi sempre meno allo sport, alle camminate in montagna, agli amici, ai momenti conviviali. Questa percezione di disequilibrio tra reale e virtuale mi crea disagio, a volte grave».

Il passo successivo è stato quello di capirne la ragione profonda. «Per capirlo, da sociologa, ho iniziato a fare ricerche sulla percezione del vivere in squilibrio tra ciò che si vorrebbe fare e ciò che siamo costretti a fare a causa dell’eccessiva complessità della realtà in cui, ognuno di noi, è quotidianamente immerso. Guardando documentari e leggendo libri di filosofi, sociologi, psicologi e altri pensatori contemporanei, ho appreso che la globalizzazione e i processi di automazione stavano sconvolgendo il mondo del lavoro, ne acceleravano i ritmi rendendo le nostre relazioni sempre più fragili ed impersonali. Ho appreso che la depressione e il burnout globale stavano diventando la malattia del secolo nelle società post industriali. Che la solida società industriale stava scomparendo e che stavamo progressivamente andando verso una società dell’informazione e della smaterializzazione, del “knowledge management”, della “sharing economy”; per dirla con Bauman, una “società liquida”: piena di incertezze e di precarietà. È sempre più evidente che un cambio di paradigma dal mondo reale ad uno sempre più virtuale, automatizzato e robotizzato, se per taluni risulta entusiasmante, per altri invece è denso di perplessità, di ansia e di paure».

Dunque, cosa dovremmo pensare della nostra qualità della vita? Cinzia si è posta anche questa domanda. «Nonostante possiamo ancora affermare che, in Italia, la qualità della vita (se comparata ad altri periodi storici) sia la migliore possibile, siamo davvero sicuri che sia così per tutti? Quando un prestigioso ente di ricerca internazionale mi ha incaricata di occuparmi di un percorso formativo sul benessere organizzativo, ho avuto la conferma di ciò che stava emergendo anche dall’evidenza dell’indagine scientifica: il malessere percepito era elevato anche nelle organizzazioni; più in generale: nel mondo del lavoro, dove siamo abituati a trascorrere almeno un terzo della nostra giornata. E nella nostra vita, fuori dal lavoro? Aumentano gli animali da compagnia, indice di solitudine e di bisogno di avere almeno un animale accanto a sé. Poi l’allarmante notizia di inizio anno: in Inghilterra viene istituito il Ministero della Solitudine. Sono così tante le persone che vivono in solitudine e isolamento da diventare una vera emergenza sociale di cui la politica ora deve occuparsi attivamente. Mentre trent’anni prima, Margaret Thatcher sosteneva che “la società non esiste, ma esistono gli individui”, ora, la sua erede, Theresa May deve prendere atto che questi individui sono rimasti così soli da diventare un vero problema sociale. È l’esito inconfutabile delle politiche neoliberiste, anche in Europa».

E in Italia? «Nel nostro paese, dove una famiglia su tre è composta da una sola persona, non siamo affatto estranei a questo problema. Secondo l’Istat, sono circa 8 milioni le persone sole nel nostro Paese. Non sono soltanto sole, ma sono anche più povere e con più anziani da gestire. Se da un lato l’Italia, insieme al Giappone, detiene il primato del più alto tasso di invecchiamento della popolazione, dall’altro, l’istituto di statistica europeo descrive un peggioramento delle condizioni sociali nel nostro Paese e il 30% della popolazione è a rischio di povertà. Anche in Trentino, la provincia in cui vivo e che è sempre stata ai vertici delle classifiche nazionali per la miglior qualità della vita, quasi un quarto dei residenti rischia seriamente di diventare povero e di non avere più i mezzi per vivere decentemente: basta una separazione, la perdita del lavoro, figli da mantenere anche dopo l’università ecc. Gli studiosi concordano che nelle società di tutto il mondo industrializzato abbia preso avvio una trasformazione, che si accentuerà nei prossimi decenni, dove all'invecchiamento della popolazione si affiancherà la mancanza di lavoro (nel senso tradizionale in cui lo conosciamo)».

Disagio, malessere, senso di insicurezza e anche la disoccupazione. «L’Istat ci informa che la disoccupazione in Italia ha raggiunto livelli serissimi in tutti gli strati della popolazione: la disoccupazione giovanile (15-24 anni), comprensiva degli scoraggiati, è di circa il 43% (676.000 giovani) – prosegue Cinzia - ma è numericamente inferiore a quella delle altre classi di età (25-34, 35-44 e 45-54 anni), che registrano insieme una dimensione tra 900.000-1 milione di persone. Posso solo accennare a molti altri sintomi del disagio e malessere in cui viviamo: dalla percezione di vivere sempre più a rischio di criminalità (furti, aggressioni, ecc.) e quella dell’aumento di malattie tipiche delle società opulente (obesità, tumori collegati all’alimentazione, allergie ecc.) dall’uso di medicinali ansiolitici a quella degli antidepressivi. Avete notato quanto gli italiani sono tornati a fumare? Che mi dite dell’elevata conflittualità nelle relazioni di ogni tipo (coppia, colleghi, parenti, vicine ecc.) e degli abusi (alcol, droghe, ecc.)? Della violenza di ogni genere? Tutti segnali chiari ed evidenti di grave malessere e disagio di questa società ancora immersa nelle contraddizioni dell’epoca post-industriale. La società che esisteva negli anni ’70-’80, e che non era neppure così male, non esiste più. Allora le famiglie creavano un cordone sociale e sanitario intorno ai propri membri in difficoltà. Le associazioni sindacali, professionali e territoriali si prendevano cura dei propri iscritti e in genere degli anelli deboli della catena. Mentre in quegli anni di “capitalismo rampante” la solitudine era sinonimo di libertà, in quest’epoca è soprattutto fragilità e precarietà. Dunque, tutti gli indicatori confermano con evidenza che la realtà in cui viviamo non è più serena e quindi la mia percezione, il mio dubbio, di vivere immersi nel malessere (di cui ho accennato fin dall’inizio) è più che fondato[1]».

Se la qualità della vita sta peggiorando per la maggior parte degli italiani, perché siamo arrivati a questo punto? Anche in questo Cinzia ci fa riflettere: «Chiedetelo a coloro che ci hanno governati fin ad ora in questi 20-30 anni. Cosa hanno fatto per impedirlo? Secondo voi se ne sono almeno resi conto? Direi proprio di no. Quando noto l’espressione sempre sorridente e compiaciuta di alcuni impresentabili governanti del nostro paese: quello che firma l’ennesimo patto con gli italiani o l’altro che si ritiene soddisfatto del “job-act” e di aver “rottamato” un po’ di parlamentari. Quando sento cavalcare le frustrazioni e le paure dei cittadini da politici che pretendono di rassicurarci mandando a casa gli immigrati, ben sapendo che i costi sostenuti dalla pubblica amministrazione per gli stranieri residenti in Italia sono ampiamente compensati dalle tasse e contributi da loro versati (che sostengono l’economia e le pensioni degli italiani). È evidente che il nostro bel paese sia stato cementificato a dismisura, che i grandi imprenditori abbiano fatto fortune personali enormi (transitate in paradisi fiscali) e poi, delocalizzando le produzioni in paesi a basso costo di manodopera, abbiano lasciato nel nostro paese migliaia di famiglie senza lavoro. Mentre le piccole imprese, a causa dei pesanti debiti non restituiti da coloro di cui sopra (che hanno anche ricevuto consistenti contributi dallo Stato) non abbiano più trovato accesso al credito. Le banche non si sono rivelate così cooperative e legate al territorio come credevamo. Hanno addirittura iniziato a mettersi il salvagente (bail-in), chiedendo ai risparmiatori (ma anche allo Stato) di salvarle dalla crisi. Ovviamente non si può fare di tutte le erbe un fascio e le responsabilità, dei partiti e dei loro leaders che ci hanno governato, sono state diverse. Il Parlamento ha però per troppi anni fatto da scudo immunitario a molti dei responsabili che hanno guidato il paese in queste condizioni».

Cinzia ha, quindi, deciso di candidarsi per il Movimento 5 Stelle e ce ne spiega la ragione. «Cosa può fare un cittadino oltre a capire e arrabbiarsi? Per scongiurare gli scenari peggiori fra quelli prevedibili qualora centrodestra o l’attuale centrosinistra vincessero le elezioni, ho deciso di candidarmi. Quando Luigi di Maio ha fatto appello ai membri della società civile che avessero voglia di mettere a disposizione conoscenza e competenza, ho risposto. Ho fatto quello che ognuno di noi avrebbe potuto fare. Ho preso contatti con gli esponenti locali del M5S e ho spiegato chi sono e cosa pensavo di poter portare nell’agenda politica del paese. La vera sfida consiste nella redistribuzione del ricchezza prodotta nel paese in modo più equo e solidale. L’unico programma, scritto da esperti e da cittadini, che mette al centro dell’agenda politica la qualità della vita degli italiani è quello del M5S (QUI riassunto in 20 punti). Il Movimento 5 Stelle è l'unico soggetto politico in Parlamento che esprime anche una concreta solidarietà con i propri cittadini. Lo fa attraverso la donazione di parte cospicua dello stipendio parlamentare a favore dell’avvio di piccole imprese e quindi per incentivare nuovi posti di lavoro. Dal Movimento 5 Stelle sono stati donati 23.000.000 di euro che hanno consentito la nascita di oltre 7.000 imprese. Se tutti gli altri parlamentari avessero avuto la stessa generosità, i disoccupati italiani potrebbero oggi beneficiare di 180.000.000 di investimenti per nuove opportunità di lavoro. Solo il M5S combatte alcuni privilegi insostenibili della classe politica in un paese dove, come ci spiegano Luciano Gallino e Marco Revelli: "la lotta di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi”. È necessario porre un limite all'hardware neoliberista. Chi già era ricco lo è diventato sempre di più a scapito delle persone sobrie, non avide di beni materiali, ma bisognose di serenità. Infine, il M5S è l’unico che mi ha dato la garanzia di voler sviluppare temi di governo davvero innovativi in campo ambientale e sociale. Tra questi quelli che mi stanno a cuore sono l’abitare collaborativo, la longevità attiva, il welfare di comunità. In poche parole, più risorse ed incentivi all’economia solidale. Infine, un impegno che vorrei mettere in agenda politica, è quello di inserire il reddito di cittadinanza e l’ufficio di scollocamento nella riforma dei Centri di Impiego dove si fa incontrare domanda e offerta di lavoro».

QUI la pagina Facebook di Cinzia Boniatti

[1] Se avete voglia di capirlo meglio in poche ore, senza dover studiare troppo, vi basti guardare “Girlfriend in a Coma” un film documentario realizzato nel 2012 da Bill Emmott (ex direttore dell’Economist) e da Annalisa Piras e magari, a seguire, rivedere la puntata di Presa Diretta andata in onda sabato 17/2/2018 "Lavoratori alla spina", un’inchiesta per raccontare cosa è veramente il precariato in Italia.

Ufficio di Scollocamento Voto medio su 3 recensioni: Buono
Ecovillaggi e Cohousing Voto medio su 2 recensioni: Da non perdere

Commenti

Conosco personalmente Cinzia Boniatti, una persona in cui competenza, sensibilità, ed una grande capacità di comprendere la realtà si uniscono mirabilmente. Ascoltiamo e facciamo tesoro di quello che ci propone.
Giorgio Fontana, 17-05-2018 01:17

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