Usa: emissioni in aumento nel 2010. L’aria pulita può aspettare?

Nel 2010 le emissioni di anidride carbonica statunitensi derivanti dal consumo di combustibili fossili hanno superato i 5.600 milioni di tonnellate, il 3,9% in più rispetto al dato del 2009. Si tratta di un incremento strettamente collegato alla ripresa economica degli Usa e all'aumento dei consumi energetici.

Usa: emissioni in aumento nel 2010. L’aria pulita può aspettare?
In base all’ultimo rapporto della U.S. Energy Information Administration (EIA), nel 2010 le emissioni di anidride carbonica statunitensi derivanti dal consumo di combustibili fossili hanno superato i 5.600 milioni di tonnellate, il 3,9% in più rispetto al dato del 2009. Si tratta dell’incremento più consistente (sia in termini relativi che assoluti) mai registrato dal 1988 a questa parte, quando le emissioni di Co2 erano aumentate, in un solo anno, di oltre il 4,6%. I risultati del rapporto della EIA appaiono ancora più rilevanti se si considera che nei due anni precedenti le emissioni del colosso americano erano diminuite mediamente del 5% (con un picco nel 2009 in cui il calo era stato superiore al 7%). Solo in due casi, dal 1990 ad oggi, si era verificato un incremento delle emissioni paragonabile a quello attuale: nel 1996 (+3,5%) e nel 2000 (+3,3%), come si può osservare nel grafico (Immagine 2). Un primo fattore da considerare nell’analisi di questi dati è quello relativo all’andamento dell’economia americana: così come la riduzione del 7% di emissioni del 2009 era legato alla recessione economica in atto, allo stesso modo l’aumento del 2010 è relazionabile con la ripresa delle attività economiche. Vi è infatti una correlazione positiva tra queste due variabili: la crescita economica implica maggiori livelli produttivi, un incremento del prodotto interno lordo, maggiori consumi e, di conseguenza, un aumento del livello delle emissioni. Con la recessione dell’economia e il calo nei consumi e nella produzione industriale, si assiste al processo inverso. È pertanto ipotizzabile che, tanto il calo repentino del 2009 quanto il picco del 2010 nelle emissioni siano da considerarsi due eventi anomali, poiché guidati, principalmente, dalla congiuntura economica mondiale. Gli esperti della U.S. EIA sottolineano, però, come questa inversione di tendenza non sia interamente da attribuire alla ripresa economica, dato che, almeno finora, l’incremento di emissioni era aumentato meno velocemente di quanto non facesse quello del PIL (come sintetizzato nel grafico Immagine 2). Nell’ultimo anno, invece, a fronte di un incremento del PIL pari al 3%, le emissioni di Co2 sono aumentate in misura maggiore (+3,9% appunto). Tra gli altri fattori che avrebbero influenzato la dinamica delle emissioni, la EIA annovera dunque l’aumento dello 0,7% dell’intensità energetica statunitense (energia consumata per ogni dollaro di PIL), quello dell’intensità carbonica della fornitura energetica (la quantità di carbonio emessa per ogni unità di energia consumata), e, infine, del consumo di carbone (il combustibile fossile a più alta intensità di carbonio) che, nell’ultimo anno, in contrasto con la riduzione del 12% del 2009, è aumentato del 6%. Emerge dunque una certa difficoltà nell’interpretazione univoca dei dati: in questo senso, l’andamento dell’intensità energetica statunitense appare particolarmente interessante poiché permette di valutare quanta energia è stata consumata per raggiungere il livello produttivo annuale complessivo (misurato tramite il PIL). Come sintetizzato nella tabella (Immagine 2), l’aumento dello 0,7% dell’intensità energetica statunitense registrato nel 2010 è in (seppur leggera) controtendenza rispetto alla dinamica negativa degli ultimi 20 anni (con le dovute eccezioni riguardanti altri 4 anni nel periodo considerato, evidenziate in rosso). Sostanzialmente questo significa che, nel 2010, rispetto agli anni precedenti è stata consumata più energia in rapporto a quanto è stato prodotto. Nel complesso, comunque, si tratta di variabili strettamente connesse con le dinamiche macroeconomiche sopra accennate, in quanto tanto l’aumento dell’intensità energetica quanto quello del consumo di carbone appaiono inevitabilmente legati con la seppur lenta ripresa delle attività economiche. Peraltro la stessa U.S. EIA ha, attraverso le parole di Howard Gruenspecht, in qualche modo, ammesso quest’ultima interpretazione dei dati: “L’aumento […] è stato trainato principalmente dal rimbalzo della recessione economica sperimentato nel 2008 e nel 2009”. Analizzando a fondo il rapporto della U.S. EIA si evince, infatti, che l’intensità energetica è aumentata a causa di un aumento dei consumi energetici di alcuni settori economici, primi fra tutti il manifatturiero e quello residenziale. Quest’ultimo, in particolare, sarebbe stato influenzato da una delle estati più torride mai sperimentate, che avrebbe sostenuto la domanda di energia elettrica per impianti di condizionamento. Per quanto riguarda il consumo di carbone, poi, si tratta della fonte dominante per la generazione di energia elettrica: la più autorevole organizzazione mondiale di ricerca in campo energetico, l’International Energy Agency (IEA), stima infatti che circa il 41% del fabbisogno mondiale di energia elettrica derivi da questo combustibile fossile. Il quadro che emerge da questa analisi è quello in cui, ancora una volta, in nome di esigenze prettamente economiche di breve periodo, si accantonano quelle legate alla sostenibilità ambientale delle attività umane, secondo un modello ampiamente noto che mette in secondo piano la qualità delle nostre vite, oltre che di quelle future. Non sorprende, dunque, che lo stesso presidente Obama abbia chiesto, e inevitabilmente ottenuto, alla U.S. Environmental Protection Agency (EPA) di ritirare “per il momento” il progetto Ozone national ambient air quality standards, in linea con quello che Greenpeace USA ha definito la “demolizione del Clean Air Act”, un provvedimento che avrebbe potuto “impedire 12.000 morti ogni anno […] proteggendo gli americani dall'inquinamento dell’ozono”. Eppure, come ricorda la IEA nel World Energy Outlook del 2010: “Il quadro energetico mondiale […] dipende in modo cruciale dall’azione dei governi e dal modo in cui questa azione influenza la tecnologia, i prezzi dei servizi energetici e il comportamento dei consumatori finali”. La stessa IEA avverte che, per raggiungere l’obiettivo, preso a Copenaghen, di contenere entro i 2 °C l’aumento della temperatura atmosferica del Pianeta, sarà necessaria una “radicale trasformazione del sistema energetico mondiale”. Viene da chiedersi come questo sarà possibile senza l’apporto degli Stati Uniti che, pur producendo, da soli, oltre il 25% delle emissioni mondiali di gas ad effetto serra, non hanno mai accettato obiettivi vincolanti in questo senso, primi fra tutti quelli sanciti dal Protocollo di Kyoto. Chi aveva sperato in un cambio di rotta dell’Amministrazione Obama rispetto a quella, disastrosa, di Bush junior, rimarrà (e anzi già è rimasto) profondamente deluso dalle più recenti posizioni assunte da Washington. Nella sua dichiarazione sugli Ozone national ambient air quality standards, infatti, lo stesso Obama ha dichiarato di non avere “il supporto per chiedere ai governi statali e locali di iniziare ad attuare un nuovo standard (…)”. A riguardo, Noam Chomsky ha commentato su Internazionale, in un articolo dal titolo emblematico La resa di Obama, che “Il peso delle grandi aziende sulla politica statunitense ha raggiunto un livello tale che ormai entrambi i partiti sono schierati molto più a destra della popolazione”. In linea con l’interpretazione del politologo statunitense, anche il New York Times scrive che: “I leader dei più importanti gruppi imprenditoriali, tra i quali United States Chamber of Commerce, la National Association of Manufacturers, l'American Petroleum Institute e Business Roundtable, hanno incontrato la signora Jackson [l’attuale direttrice dell’EPA] e alti funzionari della Casa Bianca all'inizio di questa estate, cercando di moderare, ritardare o uccidere la regolamentazione. Hanno detto a William Daley, il capo dello staff della Casa Bianca, che il regolamento sarebbe molto costoso per l'industria e nuocerebbe alle possibilità di rielezione di Obama”. Howard Gruenspecht della IEA ha affermato che le previsioni future sulle emissioni statunitensi vedono, dopo l’aumento del 2010, una “crescita più lenta, con una media dello 0,2% l’anno”. Viene da chiedersi se questo sia sufficiente, non solo per gli elettori e le elettrici di Obama, ma anche per tutti cittadini e le cittadine statunitensi, e, soprattutto, per il resto del mondo e per il suo futuro. Il messaggio generale che arriva da Washington, infatti, sembra abbastanza chiaro: l’aria pulita può aspettare. Che sia veramente così è, però, ancora tutto da dimostrare.

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