È possibile una medicina sobria, rispettosa e giusta?

Informazione unilaterale, qualità poco misurabile, corruzione, conflitti di interesse, scarsa trasparenza nelle scelte e nelle decisioni. Questa è oggi la sanità, soprattutto nei Paesi industrializzati, il settore economico a più largo consumo di beni e servizi. Ospitiamo l'editoriale del dottor Antonio Casella.

È possibile una medicina sobria, rispettosa e giusta?

Nella realtà di oggi, almeno nei Paesi industrializzati, quello sanitario è probabilmente il settore economico a più largo consumo di beni e servizi.

Si tratta di un settore molto particolare, che si configura come un sistema complesso, caratterizzato dall’incertezza, dall’asimmetria informativa, dalla qualità poco misurabile, dalla variabilità delle decisioni. Questo facilita e rende possibile fenomeni di corruzione, di conflitti di interesse, di scarsa trasparenza nelle scelte e nelle decisioni da cui dipendono sia il funzionamento sia i costi di quel complesso sistema.

Tutto è cominciato con un lento ma inarrestabile progresso. In medicina, il progresso ha cambiato radicalmente il destino degli ammalati: pensiamo alla penicillina, e poi agli antibiotici; ai raggi x e alla possibilità di vedere dentro il corpo per scoprire cosa non va. E tutto quello che è seguito: la realizzazione di farmaci capaci di arrestare, curare, guarire malattie che solo pochi decenni prima rappresentavano una condanna certa; l’invenzione di tecnologie diagnostiche sempre più raffinate, che fanno pensare che, entro breve, sarà possibile individuare qualsiasi malattia prima che abbia avuto la possibilità di danneggiarci, e poi di eliminarla, e di vivere sempre più a lungo, sani e forse eternamente giovani. Ecco: ad un certo punto il progresso ha generato illusioni, si è staccato dalla realtà. Fra i cittadini si è diffusa la convinzione che sia meglio un farmaco in più che uno in meno; che qualsiasi esame diagnostico sia utile, meglio ancora se nuovo e molto tecnologico; che in qualunque evento della vita di un essere umano sia più sicuro un intervento medico che l’evoluzione naturale della situazione.

Un’inchiesta svolta in Svizzera rileva che la quasi totalità della popolazione (tra il 70 e l’80%) è dell’opinione che la medicina sia una scienza esatta, quindi non soggetta a dubbi, incertezze, percentuali di errore.

Alcuni anni fa tre studiosi della qualità dell’assistenza sanitaria e della medicina basata sulle prove di efficacia (Domenighetti G., Grilli R., Liberati A. “Promoting Consumer’s Demand for Evidence-Based Medicine”, International Journal of Technology Assessment Care 1998; 14: 97-105) si chiesero come promuovere presso i cittadini una domanda di cure e prestazioni sanitarie scientificamente più fondata di quella che viene utilizzata abitualmente, che si basa in gran parte su convinzioni non verificate e su necessità indotte dal mercato, che poco hanno a che fare con la salute  correttamente intesa.

La domanda continua ad essere attuale: esiste un modo per permettere ai cittadini di valutare in maniera corretta e non manipolata la qualità delle cure che vengono loro proposte?

La risposta non è facile. Da un lato, si direbbe che per la maggior parte delle persone il sistema sanitario sia una sorta di “scatola nera” i cui contenuti sfuggono agli occhi ed alla comprensione dei non addetti ai lavori: i cittadini non hanno alcun modo di sapere che l’80% dei nuovi farmaci sono copie di farmaci già esistenti, ad eccezione del prezzo che di solito triplica in nome della novità; e che soltanto il 2,5% di quei farmaci rappresenta un progresso terapeutico reale. Oppure che secondo l’ OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) le prestazioni che non danno nessun beneficio ai pazienti incidono per una percentuale fra il 20 ed il 40% sulla spesa sanitaria. Che il consumo pro-capite di antibiotici, nel nostro Paese è uno tra i più alti tra i Paesi OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Che le tecnologie medicali: per esempio il numero di RMN (Risonnze Magnetiche Nucleari) e TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) presenti nel nostro Paese rispetto ad altri paesi sviluppati ha un rapporto rispetto al numero di abitanti tra i più alti; e che le stime sul numero di esami radiologici effettuati ci pongono ancora ai primi posti tra i Paesi OCSE. Ed inoltre, chi ha tentato di valutare lo spreco economico rappresentato dalla corruzione e dalla frode nei sistemi sanitari d’Europa ha stimato questo impatto in 153 milioni di euro al giorno.

I cittadini hanno ancora troppo poche possibilità di accedere a informazioni di questo tipo, di comprenderle in maniera corretta e di utilizzarle nella loro relazione con il sistema sanitario e nell’orientamento delle  loro richieste. Il problema è l’inquinamento dell’informazione scientifica.

Come scrive Richard Smith, direttore per molti anni del British Medical Journal (una delle più importanti riviste mediche internazionali), ogni tanto bisognerebbe ricordare all’opinione pubblica che la morte è inevitabile, che la maggior parte delle malattie gravi non può essere guarita, che le protesi qualche volta si rompono, che i farmaci hanno anche effetti negativi, che molti interventi medici offrono benefici marginali o non funzionano affatto e che ci sono modi migliori per spendere soldi che acquistare tecnologia sanitaria. La presa di coscienza e la collaborazione dei professionisti dell’informazione e della sanità è fondamentale per moderare le aspettative  dei cittadini e riportarli ad atteggiamenti più realisti e più critici di fronte alla promessa di nuove cure “miracolose”.

Per esempio, è convinzione comune che quanto prima è individuata una malattia, tanto più favorevole è la prognosi, cioè tanto maggiori sono le probabilità di guarigione; effettivamente in molti casi è così, ma non sempre. Studiando l’evoluzione naturale delle malattie ci si è accorti che le cose non vanno sempre in modo così semplice e lineare; per nostra fortuna un numero significativo di malattie regredisce spontaneamente prima di avere dato sintomi che mettano in all’arme la persona. Malattie anche gravi, come i tumori, possono guarire da sole o non manifestarsi mai, grazie alle prodigiose difese naturali messe in campo dal nostro organismo. Per esempio risulta che il 30% dei tumori della mammella riscontrati con gli screening attualmente in uso non si sarebbero manifestati comunque anche se non trattati. Negli ultimi trent’anni con il progredire delle capacità diagnostiche, il numero di diagnosi di cancro della tiroide e della prostata è molto aumentato ma, nonostante tutte queste diagnosi precoci, la mortalità è rimasta pressoché immutata. Ciò significa che si è registrato un eccesso di diagnosi, che ha portato a classificare come malate persone le quali, con ogni probabilità, sono state poi sottoposte  a interventi medici che non hanno modificato gli esiti della malattia.

Negli ultimi anni le soglie di molti parametri biologici (come il tasso di colesterolo, la glicemia, la lipidemia, la pressione arteriosa, la densità ossea….) sono state riviste al ribasso, cosicché i confini dei valori considerati patologici si sono allargati moltissimo. Risultato? Tutti gli adulti viventi sono virtualmente affetti da una “malattia” cronica. Chi ha interesse ad aumentare artificiosamente il numero di persone che necessiterebbero di cure, di farmaci, di controlli, di interventi? E’ stato dimostrato, purtroppo, che i criteri diagnostici sono sempre più spesso definiti da gruppi e commissioni che ricevono cospicui finanziamenti da case farmaceutiche direttamente interessate all’espansione del mercato.  “Quando visitate un paziente anziano pensate per prima cosa a quali farmaci togliergli, non a quali farmaci dargli”, ripeteva Fabrizio Fabris, grande geriatra e maestro di geriatri.

Medici, cittadini e anche professionisti dell’informazione dovrebbero puntare soprattutto all’assunzione di stili di vita equilibrati e sobri, cioè mangiare con moderazione, non eccedere nell’alcol, non fumare, coltivare interessi diversi. Farmaci ed esami? Solo quando è davvero necessario.

Per uscire dall’illusione pericolosa che una buona sanità coincida con la certezza di diagnosi immediate ed infallibili, di interventi e di cure risolutive per ogni sintomo, compresi quelli legati alla naturale instabilità del benessere  psicofisico e all’invecchiamento, è indispensabile che la “scatola nera”, di cui accennavo prima, diventi più trasparente: i cittadini devono informarsi ed essere informati su come funziona l’organizzazione sanitaria; su cosa c’è dietro l’offerta di farmaci e di interventi più o meno miracolosi; su cosa significa realmente prevenzione, su cosa è la diagnosi, su cosa significa curare e cosa, invece, guarire, e che differenza c’è tra le due cose.

Come aumentare la trasparenza?

La trasparenza passa essenzialmente dalla comunicazione e dall’informazione, in particolare da quella che è stata definita “health literacy” (alfabetizzazione sanitaria): indica la capacità delle persone di ottenere e comprendere le informazioni necessarie per accedere correttamente alle prestazioni sanitarie, per adottare e mantenere stili di vita adeguati, per utilizzare in modo appropriato ciò che il mercato della salute mette a disposizione.

Un cambiamento culturale

L’obbiettivo principale del cambiamento nella cultura della salute è quello di riportare le attese dei cittadini alla realtà, attraverso informazioni più corrette e non influenzate da interessi economici, da parte sia dei professionisti sanitari sia dei mezzi di informazione; di promuovere l’autonomia decisionale degli individui e di ridurre il consumismo inadeguato da parte della popolazione.

La nascita e i principi che ispirano il movimento SLOW MEDICINE

Mentre nel 2012 negli Stati Uniti muoveva i primi passi il progetto Choosing Wisely, in italiano “scegliere con saggezza” promosso  dalla Fondazione ABIM (American Board of Internal Medicine Foundation), in Italia nasceva Slow Medicine, frutto dell’incontro fra due realtà che si muovevano da tempo nella stessa direzione: un gruppo di medici della Società Italiana  per la Qualità nell’Assistenza Sanitaria, che al XX Convegno della SIQuAS di Grado, il 29 maggio 2010, avevano prodotto il Primo Manifesto per una Slow Medicine che contiene le linee di direzione del futuro movimento; e due dei fondatori dell’Istituto CHANGE di Torino (www. Counseling.it), da 25 anni impegnato nella diffusione di una cultura della comunicazione e della qualità della relazione nell’intervento sanitario. Alla stesura del manifesto seguì un atto più ufficiale, la creazione dell’Associazione Slow Medicine nel gennaio 2011.

La medicina slow si propone di promuovere una medicina sobria, rispettosa e giusta.

Sobria significa rifiutare gli spechi. La Slow Medicine riconosce che fare di più non vuol dire fare  meglio. La diffusione e l’uso di nuovi trattamenti sanitari e di nuove procedure diagnostiche non sempre si accompagnano a maggiori benefici per i pazienti. Interessi economici e ragioni di carattere culturale e sociale spingono all’eccessivo consumo di prestazioni sanitarie, dilatando oltre misura le aspettative delle persone, più di quanto il sistema sanitario sia poi in grado di soddisfare.

Rispettosa perché accoglie e tiene in considerazione i valori, le preferenze e gli orientamenti dell’altro in ogni momento della vita; incoraggia una comunicazione onesta, attenta e completa con i pazienti.

Giusta perché promuove cure appropriate, cioè adeguate alla persona e alle circostanze, di dimostrata efficacia e accessibili sia per i pazienti sia per i professionisti della salute.

Chi è Antonio Casella.

Laureato a Pavia alla Facoltà di Medicina e Chirurgia nel 1988. Ha lavorato per anni  all'Asl di Pavia e presso alcune RSA di città e provincia, dove ha svolto prevalentemente attività clinica.

Dal 2000/2001 ha iniziato ad interessarsi di aspetti gestionali delle Organizzazioni Sanitarie e Sociosanitarie; ha frequentato il “Master of advanced studies in economia e gestione sanitaria e sociosanitaria” presso l’Università di Lugano, nell’ambito della Swiss School of Public Health (SSPH+), network di sei Università Svizzere (Basilea, Berna, Ginevra, Losanna, Lugano, Zurigo). In Toscana ha collaborato con la AUSL Versilia e con le Confraternite delle Misericordie di Pisa, Viareggio e Lucca. Ha  frequentato  il “Master di II livello in telemedicina” presso il Dipartimento di Chirurgia  della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Pisa. Ha approfondito alcune aree specifiche come:

  • quella relativa al  Governo Clinico in ambito sanitario, frequentando il corso annuale e conseguendo il Clinical Governace core-curriculum presso il Centro Studi GIMBE (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sull’Evidenza) di Bologna, del quale sono diventato docente accreditato per l’area della Clinical Governance;
  • quella relativa alla Metodologia di Rete nell’ambito del sociale, frequentando il corso annuale e conseguendo l’Attestato di Formazione su “La metodologia di rete. Gestione di progetti nel sociale.” presso il Centro Studi Erickson di Trento;
  • ha conseguito, sempre presso il Centro Studi GIMBE, l’Health Education core-corriculum (la nuova ECM: formazione, training e sviluppo professionale; strategie per migliorare la pratica professionale; la valutazione della competence professionale).

Da anni collabora come consulente libero-professionista presso RSA della Regione Lombardia.

È socio della Fondazione GIMBE, dell’Associazione ALESSANDRO LIBERATI (NIC), di SLOW MEDICINE, della SIHTA e di SIMPIOS.

Il Potere Occulto dell'Industria della SanitàVoto medio su 4 recensioni: Da non perdere
Slow Medicine Voto medio su 1 recensioni: Buono

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