Lampadine salva energia: quali scegliere?

Una cosa è certa: dobbiamo liberarci delle vecchie lampadine a incandescenza, altamente inefficienti e di breve durata. Cosa scegliere come alternativa? Cosa offrono le tecnologie moderne e il mercato? Proviamo a fare… luce.

Lampadine salva energia: quali scegliere?
Secondo una valutazione effettuata dall’ENEA, l’energia elettrica impiegata in Italia per l’illuminazione è pari a 7 miliardi di kilowattora all’anno, ma sarebbe possibile risparmiarne 5 se solo si provvedesse a illuminare meglio le nostre case. La prima misura da adottare per raggiungere un simile risultato è senza dubbio l’utilizzo delle lampadine ad alta efficienza energetica. Quelle di uso classico, le lampadine ad incandescenza, presentano un filamento di tungsteno che emette fotoni, ossia luce, in seguito al passaggio di corrente elettrica, ma la stragrande maggioranza dell’energia è tradotta in calore invece che in luce, così che la loro efficienza non supera il 3%. Per questo motivo da qualche anno è in atto in moltissimi Paesi (Italia inclusa) un processo di progressivo abbandono delle lampadine a incandescenza. Ovviamente la domanda conseguente è: con cosa sostituirle? Al momento la tecnologia più matura è la quella delle lampadine a fluorescenza (quelle in genere pubblicizzate appunto come “ad alta efficienza”). Esse sono costituite da un tubo di vetro riempito di un gas e una piccola quantità di mercurio liquido. La parete interna è ricoperta di un materiale fluorescente. In virtù del passaggio di corrente elettrica, il mercurio emette radiazioni ultraviolette, che colpiscono il rivestimento fluorescente inducendolo ad emettere luce visibile. Le lampadine fluorescenti compatte (CFL) o tubolari (che hanno rimpiazzato i vecchi neon) hanno un’efficienza dell’8-15% e una durata in vita da 6 a 15 volte maggiore rispetto a quelle ad incandescenza. Di conseguenza il loro impiego determina una riduzione dei consumi fino all’80%, quindi anche minori emissioni di gas serra e un notevole risparmio economico. Per quanto in generale vantaggiosa, anche questa tecnologia presenta dei difetti. In primo luogo, le lampadine a fluorescenza hanno tempi di accensione lunghi (ossia occorre attendere anche un paio di minuti prima che raggiungano la massima luminosità) e la loro vita può essere significativamente ridotta da frequenti accensioni e spegnimenti (perché si degradano gli elettrodi al loro interno). Esse possono costare fino a dieci volte di più rispetto a quelle a incandescenza e la resa dei colori non è eccezionale (tendenzialmente la luce prodotta appare più 'fredda'). Alcune poi, quelle più economiche, producono un ronzio che può essere fastidioso. Ma la controindicazione peggiore è che esse presentano al proprio interno una (piccola) percentuale di mercurio, che, come noto, è un elemento tossico, pertanto non possono essere gettate nella spazzatura convenzionale, bensì devono essere avviate verso uno smaltimento differenziato (vanno consegnate ad impianti comunali di raccolta o ad aziende specializzate; in vari casi sono gli stessi rivenditori a occuparsi anche del ritiro dei dispositivi esausti). Man mano che l’uso di tali lampadine si è diffuso, sono sorti interrogativi anche sui possibili effetti sulla salute. Alcuni studi hanno infatti dimostrato che un'eccessiva esposizione a luce fluorescente può provocare maggior incidenza di mal di testa, affaticamento e irritazione oculare, difficoltà di concentrazione, stanchezza, alterazione della produzione di ormoni - che provocherebbero malesseri e irritabilità -, nonché gravi effetti su soggetti ipersensibili alla radiazione ultravioletta o malati di lupus e altre malattie autoimmuni. Di fronte a tanti e tali difetti, le lampadine a fluorescenza sembrerebbero non avere futuro. Invece si sono già alquanto diffuse e continuano a farlo, grazie alla lunga durata e al basso consumo di energia. Una tecnologia più recente, ma a sua volta già discretamente affermata, è quella dei LED (Light Emitting Diode), dispositivi a semiconduttore composti dalla giunzione di due substrati di carica opposta. Quando una tensione viene applicata agli estremi, gli elettroni provenienti dal lato carico negativamente fluiscono attraverso la giunzione, così da raggiungere le cariche positive e ricombinarsi: in seguito a questo processo si ha rilascio di energia sotto forma di luce visibile, di un particolare colore (a seconda del semiconduttore utilizzato). I LED hanno un tempo di vita molto lungo, sono robusti e garantiscono efficienza doppia rispetto a quella delle lampadine a incandescenza. Da tempo utilizzati nelle apparecchiature elettroniche e nelle auto, man mano stanno prendendo piede anche nelle case e negli uffici. Tali dispositivi forniscono però un fascio di luce molto stretto, che li rende adatti più a spot, illuminazioni locali, che non invece d’ambiente. Essi inoltre sono molto costosi e questo spesso rappresenta un forte deterrente per l’utente, nonostante poi i vantaggi successivo in termini di risparmio energetico siano molto elevati. Un’altra grossa difficoltà presentata da questa tecnologia è la produzione di luce bianca. I LED infatti, per loro natura, forniscono la luce di un solo colore, ossia ad una particolare lunghezza d’onda, mentre per produrre la luce bianca bisogna 'sovrapporre' i vari colori. Una delle soluzioni adottate è quindi proprio quella di raggruppare LED rossi, verdi e blu in un’unica lampada. Purtroppo i tre diversi materiali hanno tempi di vita differenti, di conseguenza il colore della luce emessa vira man mano che la lampadina invecchia. L’alternativa (più diffusa della prima soluzione) è quella di usare un LED che produce radiazione blu o ultravioletta e rivestire la parete interna della lampadina con materiale fosforescente, che assorbe i raggi monocromatici e riemette radiazione a più ampio spettro, così da produrre luce bianca. In ambo i casi si presenta comunque il problema della resa dei colori, non sempre corretta e piacevole, ossia l’effetto di luce troppo calda o troppo fredda. Negli ultimi anni si sta ampliando anche la ricerca nel campo degli OLED, ossia LED che usano componenti organici come substrato per la giunzione. Questi sono generalmente più facilmente degradabili (quindi hanno un tempo di vita ridotto), ma permettono la produzione di 'fogli' flessibili. La tecnologia dei LED è in evoluzione e sicuramente promettente, ma ancora piuttosto costosa. Al di fuori di queste soluzioni che sono ormai piuttosto affermate, emergono altre proposte, frutto della ricerca nel settore che è piuttosto attiva. Fra queste meritano di essere prese in considerazione le lampadine ad induzione e quelle a catodoluminescenza. Le prime sono costituite da tubi riempiti di un gas, come nel caso delle lampadine fluorescenti, però non vi sono elettrodi, bensì la reazione è innescata da microonde, le quali ionizzano il gas. Ciò che ne risulta è l’emissione di una luce bianca ad ampio spettro, molto intensa. Questi dispositivi – già in commercio - garantiscono una grande efficienza e sono particolarmente adatti per le applicazioni in cui è richiesta una forte illuminazione (quindi soprattutto per esterni e per usi industriali). Le lampadine a catodoluminescenza sono invece sostanzialmente dei tubi a raggi catodici, simili a quelli un tempo utilizzati nei televisori. Un flusso di elettroni proveniente da una lastra metallica viene accelerato verso la superficie interna della lampadina, ricoperta da materiale fosforescente, che assorbe gli elettroni ed emette fotoni. Lampadine di tal tipo dovrebbero far presto ingresso sul mercato (si veda, Vu1Corporation, che ha ribattezzato questa tecnologia “EST”, ossia “luminescenza stimolata da elettroni”). Esse risultano essere altamente efficienti, del 70% in più rispetto a quelle a incandescenza, e avere un tempo di vita 5 volte maggiore. Inoltre offrono una resa dei colori piuttosto buona (in virtù del materiale fosforescente utilizzato), si accendono rapidamente e, secondo le promesse, dovrebbero essere prodotte a costi (e quindi prezzi) ragionevoli. In conclusione, è il caso di ricordare che esiste da tempo anche un’altra soluzione, ossia la lampadina alogena, la quale però è anch’essa una lampada a incandescenza, se pure dotata di caratteristiche che la differenziano da quelle comuni. Essa è più efficiente di queste ultime, ma di molto poco, ed emette raggi ultravioletti, dannosi per l’occhio e per la pelle. Sono stati messi a punto metodi per schermare parzialmente tali emissioni, ma il risparmio energetico offerto resta insufficiente a rendere questa scelta vantaggiosa. La lampadina ad incandescenza sarà presto oggetto da museo, mentre auspicabilmente un crescente numero di alternative sarà a nostra disposizione. Di conseguenza dispositivi diversi potranno essere adottati a seconda dell’impiego specifico ed anche integrati nel medesimo impianto. Per quanto possano essere inventate nuove soluzioni, ci saranno sempre e comunque anche effetti collaterali, ed è bene ricordarsi che alla base del risparmio c’è prima di tutto la riduzione dei consumi e l’eliminazione degli sprechi. È dunque il caso di adottare una serie di accorgimenti, quali spegnere le luci quando si passa da una stanza all’altra, non utilizzare lampadine di potenza superiore alle necessità del caso e staccare dalla presa tutte le apparecchiature elettriche non in uso (poiché esse consumano anche in standby). Inoltre, nelle ore diurne la luce naturale è sempre da preferire, anche per ragioni di salute. Tabella 1 - Comparazione tra una lampadina ad incandescenza da 100 Watt e una a fluorescenza di classe A (ne esistono di classe A e B, con le prime più efficienti delle seconde) da 20 Watt, entrambe lasciate accese per 3 ore al giorno (quindi circa 1000 ore all’anno), per 10 anni. In realtà la vita media delle lampadine a incandescenza è stimata a 100 ore, quindi in dieci anni ne andranno considerate altrettante. Dati tratti dall’ Ecosportello di Legambiente. Tabella 2 - Confronto in efficienza e durata tra le lampadine attualmente di uso comune. Il lumen è l’unità di misura della luce, mentre il Watt della potenza, che è strettamente connessa all’energia consumata. Si noti che una lampadina CFL da 12 Watt, per esempio, può fornire la stessa quantità di luce (in lumen/Watt) di una a incandescenza da 60 Watt. Per tale ragione il lumen è l’unità di misura più corretta da usare (ed ora appare anche sulle confezioni delle lampadine). Leggi anche: Lampadine, trovare l'isola ecologica è facile con le mapppe interattive Lampadine a basso consumo e rischi per la salute

Commenti

Sui possibili effetti nocivi sulla salute lei omette completamente la creazione di campi elettromagnetici, come mai? Forse perché ne ha già scitto F. Bevilacqua nel suo articolo "Lampadine a basso consumo e rischi per la salute"? Lo stesso mi sorprende, perché non è un difetto da poco...
Loretta, 22-06-2011 02:22
La ringrazio del commento. In realtà non ho omesso la cosa, semplicemente ho accorpato i vari possibili effetti sulla salute umana in un unico periodo, senza scendere nei dettagli. Le lampadine a fluorescenza possono essere pericolose: per via delle radiazioni elettromagnetiche che emettono; per una leggera intermittenza della luce (che provoca una sorta di tremolio); per l'emissione di radiazioni ultraviolette. Tralascio qui i rischi da vapore di mercurio, che si corrono SOLO se la lampadina si rompe. I modelli più moderni (e di maggiore qualità) sono in generale migliori anche in relazione a questi difetti (soprattutto in merito alla schermatura dei raggi UV). Per il resto, come detto, un certo rischio esiste. Per questo è meglio mantenersi un po' a distanza (intorno ai 30cm) dalla lampadina. Gli studi sull'entità effettiva di questo rischio, ossia degli effetti sulla salute umana, danno però risultati in parte controversi. Per maggiori dettagli, oltre all'articolo di Francesco Bevilacqua da lei stessa citato, le propongo di leggere questo testo scritto da me due anni fa, che affronta la questione delle conseguenze per la salute in maniera più dettagliata: http://www.terranauta.it/a1194/energie/lampade_a_basso_consumo_o_tradizionali.html
Virginia Greco, 22-06-2011 04:22
La ringrazio per il supplemento di informazione che andrò senz'altro a vedere con calma. Comunque mi sono riletta il suo articolo, peraltro piuttosto esaustivo e ben scritto, e di nuovo non ho trovato nemmeno il minimo accenno ai campi elettromagnetici, che mi sembra presentino un rischio di danni, a lungo termine, più gravi e diversi da quelli elencati da lei in connessione con le radiazioni ultraviolette, ancorché non dimostrati in maniera soddisfacente, ma il principio di precauzione, di fronte a rischi di tale entità, imporrebbe molta prudenza e soprattutto informazione...
Loretta, 22-06-2011 05:22
Sono assolutamente d'accordo son lei sul fatto che sia necessaria prudenza e informazione. Eventualmente in futuro scriverò un supplemento a questo articolo in cui riprenderò la questione dei rischi per la salute e la affronterò nello specifico. Grazie per l'attenzione.
Virginia Greco, 22-06-2011 06:22

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