Cipro, fine di un paradiso fiscale (e di una democrazia)

Dopo 12 giorni di stop, a Cipro le banche hanno riaperto. La crisi che ha travolto l'isola greca ha permesso all'Ue di imporre all'isola misure straordinarie. I conti dei correntisti ciprioti sono stati congelati per impedire le corse agli sportelli, sono stati imposti prelievi forzosi sui depositi ed è iniziata la fuga dei capitali e delle società offshore dall’isola. A Cipro - e in tutta Europa - si pone ora un importante problema di sovranità.

Cipro, fine di un paradiso fiscale (e di una democrazia)
Un’isola grande quanto la Corsica tiene col fiato sospeso l’Europa intera ed il sistema della moneta unica. I conti dei correntisti ciprioti sono stati congelati per impedire le corse agli sportelli, sono stati imposti prelievi forzosi sui depositi ed è iniziata la fuga dei capitali e delle società offshore dall’isola verso altri paradisi fiscali. La storia di Cipro può ricordare vagamente quella di un’altra isola ancor più sperduta: l’ Islanda. Entrambe isole, entrambe terre di confine: l’Islanda si è da sempre considerata, per cultura e stili di vita, un ponte fra Europa e Usa (l’isola sorge peraltro lungo la dorsale atlantica che separa la placca europea da quella americana); Cipro dal canto suo è la più asiatica fra le nazioni europee, sempre in bilico fra oriente e occidente. Demetris Christofias, suo presidente fino al febbraio 2013, è stato un fervente comunista – l’unico comunista alla guida di un paese dell’Unione europea – che non ha mai nascosto la propria amicizia con Putin e amava definirsi la “pecora rossa d’Europa”. Le analogie con l’Islanda non finiscono qui. Anche a Cipro i guai iniziano per colpa delle banche. Da anni infatti il paese soffre di un brutto male chiamato “settore finanziario ipertrofico”. Le banche dell’isola si sono espanse ben oltre le proprie possibilità cercando di attirare con ogni mezzi capitali stranieri. Il metodo utilizzato per attirare capitali è stato quello classico: Cipro infatti è uno dei cosiddetti “paradisi fiscali”, l’ultimo rimasto nella zona euro, sede ideale di società offshore che godono del regime fiscale favorevole offerto dall’isola. Ecco come il sito paradisifiscaliltd.com descriveva l’isola dua anni fa, prima dell’esplosione della bolla finanziaria: “Cipro è uno dei paradisi fiscali cardine dell’Europa ed è solo quattro ore di volo dal Regno Unito e Italia. È una destinazione ideale per coloro che vogliono evitare plusvalenze e sta diventando sempre più popolare per aprire società offshore. […] la bellezza di Cipro sono appunto le esenzioni. Tutte le seguenti sono libere dell’imposta sul reddito: Interesse ricevuto da individui; 50% del reddito di interesse delle aziende; Dividendi; Profitti delle stabili organizzazioni che esercitano un commercio all’estero; Profitti derivanti dalla cessione di quote; Reddito da lavoro servizi forniti all’estero per un datore di lavoro non residente tuttavia, Cipro riscuotere un ‘contributo speciale per la difesa’ su determinati tipi di reddito. Interessi attivi sono di solito a pagamento 10% mentre i dividendi sono soggetti ad una tassa del 15%. Cipro offre anche un regime fiscale di plusvalenze attraente. “ Si capisce che una situazione del genere non poteva durare in eterno. Finché il vento della finanza internazionale ha soffiato forte la bolla cipriota ha continuato ad espendersi e a creare ricchezza e prosperità. Ma non appena i mercati hanno iniziato a dare segnali di incertezza ed il flusso continuo di capitali si è interrotto l’economia dell’isola ha iniziato a scricchiolare paurosamente. Dal 2011 Cipro è stata oggetto di vari prestiti di salvataggio da parte tanto dell’Europa quanto della Russia. Ma il colpo definitivo alla barcollante economia lo ha sferrato il tracollo della Grecia e la conseguente ristrutturazione del debito con il taglio del 50 per cento del valore dei titoli di stato ellenici. Le banche cipriote hanno accusato il colpo e in cerca di ossigeno sono tornate a rivolgersi tanto a Bruxelles quanto al Cremlino. Ma la Russia si è fatta presto indietro, complice anche il nuovo esecutivo di Nicosia eletto a febbraio, con una maggioranza di centro-destra poco gradita a Putin e al suo entourage. E Bruxelles ha avuto l’occasione per mettere in atto un piano di “salvataggio” alla sua maniera. A vincere è stata la linea della Germania e dei paesi rigoristi, che mal tolleravano la presenza nella zona euro di un paese dalle leggi fiscali blande e fin troppo tolleranti. In cambio di un pacchetto di aiuti da 10 miliardi di euro l’Ue ha preteso misure drastiche. Che fosse instaurato un audit indipendente sul sistema di antiriciclaggio adottato dall’isola e dalle sue banche, gestito dalla Moneyval, la divisione del Consiglio d’Europa che valuta i sistemi antiriciclaggio. Che venissero aumentate le tasse sulle imprese dal 10 al 12,5 per cento. Che fossero congelati i capitali stranieri in attesa delle tassazioni perché non potessero fuggire troppo rapidamente. Ma soprattutto che si procedesse ad un prelievo forzoso di circa il 20 per cento dai conti correnti delle banche cipriote. Tale prelievo era voluto inizialmente su tutti i depositi, ma in seguito alla ferma opposizione del parlamento cipriota è stato applicato solamente ai conti superiori ai 100mila euro. Ora queste misure hanno fatto discutere per vari motivi. In molti hanno letto l’operazione come un avvertimento tedesco a tutte quelle nazioni che pur stando in Europa applicano regimi fiscali troppo blandi. Altri hanno ipotizzato che l’operazione celasse la volontà delle banche europee in crisi di recuperare capitali sottraendoli ai paradisi fiscali. Ma probabilmente il nodo fondamentale della vicenda è un altro. Sebbene le pratiche applicate dai cosiddetti paradisi fiscali aiutino il riciclaggio di denaro sporco e facilitino l’evasione fiscale delle imprese e delle multinazionali, dunque siano da senz’altro da condannare, va capito con quale autorità l’Ue ed in particolare la Germania (vera promotrice dell’iniziativa) possano imporre misure del genere ad un paese. Con il prelievo forzoso si va oltre persino alle classiche misure di austerità e si crea un pericoloso precedente. Difatti c’è già chi parla di applicare la misura come ricetta di salvataggio per tutti i paesi in crisi, Italia in primis.

Commenti

temo che poi toccherò a noi. E forse è previsto da molti anni visto che hanno costretto pensionati e lavoratori dipendenti a non poter aver ciò che gli spetta senza un accredito bancario o postale. La strada del proibizionismo del contante è il cul de sac nel quale ci stanno spingendo per derubarci fin troppo facilmente. Non esiste più politico sano perché non c'è più sovranità di stato. Siamo ormai schiavi di banche e poteri più o meno occulti.
maria, 29-03-2013 10:29

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