Device Renewal Forum: nuova vita ai vecchi cellulari

Un gruppo di compagnie della telefonia mobile progetta una certificazione che permetta di rinnovare e commercializzare i cellulari dismessi. Un modo per frenare la produzione di rifiuti elettronici e ridurre i costi. Ma anche, nelle intenzioni del gruppo, una via per stimolare i consumi nei Paesi in via di sviluppo.

Device Renewal Forum: nuova vita ai vecchi cellulari
Sei organizzazioni della telefonia mobile - Sprint Nextel, Brightstar Corp., eRecyclingCorps, ModusLink Global Solutions e CDMA Development Group - hanno lanciato il progetto Device Renewal Forum (DRF), con l'obiettivo di espandere il mercato dei dispositivi wireless recuperati. In base alle stime del Forum, infatti, rimettendo in funzione, nella sola Europa, il 95% dei 160 milioni di telefonini che ogni anno vengano gettati, si conseguirebbero annualmente risparmi pari a 1,5 miliardi di euro sui materiali e a 120 milioni di euro sull'energia necessaria ai processi di produzione e distribuzione. Un traguardo possibile, secondo il gruppo, a condizione che si riesca a certificare la qualità delle merci recuperate. E proprio a questo punta l'associazione: attraverso dei sottocomitati, il Forum si ispirerà alle migliori pratiche disponibili a livello mondiale in materia di rinnovo dei dispositivi wireless per arrivare a definire uno standard che permetta di testare e certificare i prodotti rimessi a nuovo, in particolare i telefoni cellulari. Risultati attesi: estendere il ciclo di vita dei cellulari già in commercio, immettere telefoni recuperati sul mercato a prezzi più accessibili di quelli nuovi - i cui prezzi, secondo il Forum, tenderanno di conseguenza a ridursi per fronteggiare la concorrenza di quelli rinnovati -, ridurre la quantità di rifiuti elettronici e lo sfruttamento delle risorse, contribuendo a mitigare gli impatti ambientali della produzione e del consumo di questi dispositivi. Propositi condivisibili, che andrebbero probabilmente a stimolare innovazioni a catena, accelerando ad esempio la diffusione di servizi per la raccolta e il recupero dei materiali, prima che arrivino in discarica o che traffici illegali ne facciano perdere le tracce. Tracce che portano spesso in Africa, dove, secondo il rapporto Where are WEee in Africa? del Programma Ambiente delle Nazioni Unite, i rifiuti elettronici vengono esportati illegalmente, finendo per contaminare le risorse naturali e la salute di chi - spesso bambini - lavora nelle discariche per recuperare quel che si può dagli scarti. Solo un cenno, tra le righe dei comunicati diramati dal Forum, getta un'ombra sul progetto: la destinazione di questi dispositivi recuperati, nelle intenzioni delle 6 organizzazioni, sarebbero i Paesi in via di sviluppo. Le regioni più povere del pianeta sarebbero quindi lo sbocco commerciale dei prodotti che i volitivi consumatori dei paesi più ricchi continuerebbero indisturbati ad abbandonare, incalzati dalle novità di ultima e ultimissima generazione. Nessun ripensamento, quindi, rispetto alla logica che ci vuole sempre attratti da nuove merci inutili, ma piuttosto profitti doppi per le industrie della telefonia, che avrebbero nuovi mercati da occupare. Fino al paradosso di rivendere in Africa merci prodotte con quegli stessi materiali che alle popolazioni locali, soprattutto ai congolesi, vengono espropriate, alimentando fame, sfruttamento e corruzione, a tutto vantaggio di multinazionali, trafficanti e ufficiali corrotti. Secondo dati Onu, solo tra il 1998 e il 1999 sono state esportate illegalmente dal nord del Congo circa 1500 tonnellate di Coltan dirette ai paesi occidentali e asiatici. È infatti il Congo a custodire l'80% delle riserve africane di Coltan, la sabbia di colombite e tantalite da cui si estrae il tantalio, utilizzato negli apparecchi elettrici ed elettronici. Ed è sempre il Congo a vedere questa preziosa risorsa prendere il largo verso Europa, America, Cina, grazie ai sodalizi tra imprese straniere, contrabbandieri e funzionari conniventi. Il tutto sulle spalle delle migliaia di persone che lavorano, senza nessuna misura di sicurezza, nelle miniere per estrarre il Coltan o che lo trasportano, sacchi in spalla, per decine di chilometri fino ai punti di smercio. Dove altri guadagneranno sul loro sfruttamento, in molti casi riciclando denaro sporco.

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