Educare alla gioia con il Free Progress

Praticato da decenni in India, il Free Progress è considerato una delle più originali pedagogie dal punto di vista della sperimentazione. Le materie di studio sono selezionate sulla base degli interessi principali degli studenti che possono così progredire verso la massima espressione del loro potenziale. Free Progress è, in altre parole, percorso di educazione alla gioia sia per lo studente che per l'insegnante.

Educare alla gioia con il Free Progress
Educare alla gioia Delle esperienze d’educazione felici esistono ovunque e alla portata di tutti, occidentali ed orientali, ma è stato per me necessario varcare i confini dell'Occidente, per trovare il significato originale sul quale la visione educativa non–dualista si fonda. Mi limito in questo documento ad un esempio (tra molti altrettanto efficaci) che potrebbe rappresentare un tentativo di risposta alla possibilità dell’educazione alla gioia. Il postulato di base di questa ricerca è che l'approccio integrale, transdisciplinare, rappresenta una delle poche vie d’uscita possibili. Il caso studiato dalla ricerca che ho condotto in India dal 2006 al 2008 [1] è quello della pedagogia del Free Progress (il Libero Progresso), praticata da decenni nella scuola dello Sri Aurobindo International Education Center (SAICE) a Pondicherry e riadattato nella sua versione moderna al contesto multiculturale delle scuole di Auroville [2]. Il Free Progress è considerato una delle più originali pedagogie dal punto di vista della sperimentazione, e si basa sui seguenti principi: - l'educazione ha il compito di guidare l'individuo nell’esplorazione di se stesso e di ciò che nasconde nel più profondo della sua coscienza; - lo sviluppo della coscienza è la condizione necessaria all'umanità per attraversare l’attuale crisi nata da uno squilibrio tra un progresso materiale sproporzionato e un progresso spirituale insufficiente; - la questione più importante riguardante l'esistenza umana è filosofica ed ontologica, e riguarda cioè il fine ultimo della vita dell'individuo. Nel tentativo di rispondere a quest’ultima questione, l’approccio educativo qui avanti descritto si propone di sviluppare tutte le dimensioni e tutti gli aspetti della persona: il fisico, il vitale, il mentale, l’emozionale e lo spirituale, ed è quindi 'integrale'. Il Free Progress Nel 1960, il SAICE, la scuola dell’Ashram realizza un’esperienza pedagogica libera da programmi e da esami, con l’obbiettivo di “rendere gli studenti felici” : nasce così il Free Progress: è libero, dato che gli studenti possono orientarsi liberamente verso le loro preferenze mentre progrediscono verso la massima espressione del loro potenziale. Le materie di studio sono infatti selezionate sulla base dei loro interessi principali, mentre l'insegnante ha il compito di guidarli ed illuminarli su di un punto o su un altro, rivestendo così la figura di “colui che dissipa le tenebre” (in sanscrito il “Guru”), in una posizione distante e presente allo stesso tempo. Nella tradizionale scuola dell’Ashram, oggi il Free Progress è disponibile solo per gli studenti del liceo, mentre in alcune scuole d’Auroville, esso è sperimentato fin dal livello elementare. Questa indagine mi ha portato a constatare gli effetti spettacolari di tale pedagogia sugli studenti di ogni età: quanto prima sono lasciati liberi di muoversi verso i loro interessi, tanto meglio essi sono in grado di formarsi una personalità sicura, curiosa ed aperta al mondo. “La libertà, significa scelta. La scelta, significa che tutto è proposto e che lo studente sceglie ciò di cui la sua natura ha bisogno per progredire [4]”. Pertanto, non è necessario in questo contesto che l'insegnante o l’adulto “pre-guidi lo studente o lo obblighi ad uniformarsi ad un curriculum che non gli si confà”, come affermava Sri Aurobindo [5]. L'elemento comune in queste scuole dove “fa del bene andare” è il benessere e la gioia leggibile dalla luce che emana dagli occhi dei giovani. Le numerose testimonianze di studenti e docenti concordano: “la cultura di questa educazione è quella di aiutare il bambino a dirigersi verso la gioia di imparare. Siamo lontani dalle punizioni, o dal desiderio di ottenere buoni voti, o di primeggiare sui compagni di classe. Qui si tratta di imparare per la gioia di imparare [5]”. Sulla base delle osservazioni comportamentali realizzate dalla ricerca, possiamo dunque affermare che il Free Progress è un percorso di educazione alla gioia sia per lo studente che per l'insegnante. Delle domande sorgono a questo punto: è possibile raggiungere tale obiettivo nelle nostre scuole? E se la risposta è sì, come? Qual è l'atteggiamento da assumere nel rapporto tra insegnante e studente, base e fondamento di ogni pedagogia? Note 1. Antonella Verdiani L’éducation à la joie : un exemple d’éducation intégrale dans les écoles d’Auroville (Inde), Tesi in Scienze dell’educazione, diretta dal prof. René Barbier, Università di Paris VIII, 2008. 2. Definita dai suoi abitanti, un "laboratorio" di umanità, Auroville è sostenuta dal 1968 dal governo indiano e dall'UNESCO. Auroville "vuole essere una città universale, dove uomini e donne di tutti i paesi possano progressivamente vivere in pace ed armonia al di sopra di ogni credo, opinione politica e nazionalità. Lo scopo di Auroville è quello di realizzare l'unità umana" Auroville, a universal city in the making. La città oggi conta circa 2200 abitanti provenienti da 44 paesi diversi. 3. Secondo le parole stesse di Madre, in G. Monod-Herzen, J. Benezech L’école du libre progrès, Editions Plon, 1971 4. Intervista del 6 mars 2008 à C., insegnante ad Auroville dal 1975. 5. Sri Aurobindo, La synthèse des yogas, Sri Aurobindo Ashram Trust, Pondichéry, 1984. 6. Intervista del 29 febbraio 2006.

Commenti

Che meraviglia!
Elisa M., 20-04-2011 10:20
Mi ricorda molto quello che ho letto riguardo all'educazione libertaria. http://www.educazionelibertaria.org/
Masque, 26-04-2011 02:26
grazie per le cose che mi fate scoprire....sono un'insegnante alla continua ricerca del benessere degli alunni..ma è così difficile, quando hai un programma da attuarE!ad ogni modo si può cambiarE...WHY NOT?
giovanna falcone d'apolito, 28-04-2011 12:28
Impossibile! Come valutare le conoscenze di uno studente così? Ma soprattutto come formare ad una professione con vincoli e livelli minimi di competenza? Per fare il mestiere X serve il diploma Y, ma se, alla scuola per il diploma Y, Tizio impara Inglese e Caio invece è appassionato di meccanica, i due diplomi della medesima scuola non possono essere considerati equivalenti e il povero datore di lavoro deve valutare la conoscenza del dipendende persona per persona. Un inferno nel mondo già deteriorato dei collegamenti scuola-lavoro! Pensiamo piuttosto a far sì di insegnare davvero quello che i diplomi e le lauree prevedono in teoria, anche con un approccio più pratico e meno appesantito da programmi elefantiaci ed omnicomprensivi e,sì, perchè no, una maggiore personalizzazione dei percorsi di studio (ma ci vogliono soldi e professori volonterosi e colti, oggi disprezzati.). Ma sempre con dei moduli componibili, in modo che la verifica delle competenze resti possibile, con una direzione di massima.
Marco B., 20-07-2011 09:20
Caro Marco, la parola "impossibile" non fa parte del mio vocabolario e mi augurerei che uscisse da quello di tutti coloro che operano per il cambiamento! Qui si tratta di uscire anche dalla logica della scuola che forma i futuri lavoratori secondo la richiesta del mercato. Si tratta invece di far sviluppare le competenze (e direi le passioni) secondo il talento che ognuno ha per un'attività, una materia, un'arte. Se, fin da piccoli, si è in contatto col piacere e la gioia di apprendere e approfondire tale o tale materia, man man che si cresce, si avrà sempre più chiara la direzione verso cui ci si vuole indirizzare nella vita e nel lavoro. Il momento della specializzazione sarà necessario, sono d'accordo, perché ognuno eccella nel suo campo. Ma nel sistema attuale, per esempio nelle scuole professionali, si richiede a dei ragazzi poco più che bambini, di scegliere un mestiere secondo una scelta che è quasi sempre influenzata dai genitori, dall'ambiente circostante e, come dicevo prima, dalle esigenze del mercato del lavoro, secondo dei criteri che non sono sicuramente dettati dal valore del benessere (e insisto sulla parola "valore" accanto a benessere!).
Antonella, 22-07-2011 11:22
Il problema resta, dato purtoppo che a) si deve considerare anche cosa serve alla società e non solo cosa serve all'individuo, visto che quasi sempre quest'ultimo si troverà in concreto ad operare in un ambiente pieno di requisiti che non dipendono da lui, di aspettative minime che poi tanto minime non sono (e anche questo è un problema, il nostro vizio di pretendere uniformità ed eccellenza, ma riconosco che degli standard, magari un po' meno spietati e produttivistici di oggi, hanno la loro funzione nella coordinazione dei lavoratori) b) E' necessario capire con rapidità se una persona è adatta ad un impiego, specie se è una mansione delicata. E' già difficile oggi, poichè un'accelerazione impropria e una certa tendenza a fornire saperi solo apparenti, rende molto variabile la qualità e la preparazione di chi esce, ad esempio, da una laurea italiana. Come conciliare questa flessibilità, che a quanto ho capito non viene molto ufficializzata, con un percorso che dovrebbe essere comune? Cosa fare se quelle che sono le competenze dell'allievo non sono quelle richieste dalla maggiorparte dei lavori che potrebbe trovare? Attualmente devo prendere atto (anche se non mi piace) che la tendenza è di dare molte cose come ovvie e scontate, anche con una certa arroganza, come se i lavoratori si aggiornassero magicamente al pari dei software per computer. Inoltre la parte più concreta, banalizzante e terra-terra di me (che, ti garantisco, in realtà è minoritaria) non può scordarsi che non sempre ciò che ci rende felici è ciò che si vuole da noi (e questa dicotomia è la base dell'infelicità di oggi). Prendiamo un esempio così, ipotetico: un ragazzo pensa che la vera soddisfazione della vita sia dedicarsi alla scienza pura, ma nel suo paese non sono previsti finanziamenti per ricercatori nei prossimi dieci anni. Oppure stravede per una tecnologia che sta per cadere in disuso, o pensa che per trovare la felicità debba seguire materie non collegate tra loro e ad indirizzo marcatamente speculativo. Dei casi come questi difficilmente troverebbero impiego a meno di non andare in campi assai ristretti e per pochi (e noi non vorremo mica riproporre la strategia antisociale del "uno su mille ce la fa", spero, che è il vecchio paradigma di chi mette la competizione alla base dell'esistenza).Penso a questo vedendo la pretenziosità degli odierni annunci di lavoro, anche precario: si va da specifiche sull'aspetto fisico degne di un casting per un kolossal a improbabili "esperienze lavorative pregresse" (come fa uno col primo impiego) alla richiesta di familiarità addirittura con singoli utensili o strumenti esoterici (non parliamo per l'informatica: spesso non basta conoscere una tipologia di applicazioni, ma viene specificato che si vogliono persone addestrate con prodotti di una specifica marca e usciti in uno specifico anno). Non riesco nemmeno ad immaginarmi la pena di uno studente alternativo che, assai entusiasta, prova a spiegare che, no, a lui l'inglese non interessava, ad esempio, e viene scornato da un selezionatore allibito e che trova normalissima la propria inquadrata inflessibilità, magari costruita su pregiudizi da testo unico ministeriale.
Marco B., 22-07-2011 12:22
PS Col mondo esterno bisogna pur fare i conti, e non credo che avere delle competenze che quasi tutti considerano inutili o mal assortite rispetto al bisogno possa rendere qualcuno felice. Alla felicità come stato mentale indipendente dal resto del pianeta ci credo solo fino ad un certo punto. Felicità è anche vedere che si può contribuire, che si è inseriti in qualcosa di più grande di sè. D'accordo, è prima di tutto una questione di soddisfazione, ma spesso non c'è nè soddisfazione nè concreto sostentamento nell'isolamento.
Marco B., 22-07-2011 12:22
Dovremmo capire se è più importante il benessere della persona quanto individuo, oppure il mantenimento in perfetta funzione dell'attuale sistema economico e sociale. Ed anche se non si possa arrivare ad un perfezionamento di entrambi, che porti ad un maggior benessere unito ad una organizzazione sociale meno "meccanizzata". A seconda di ciò che si decide, potremmo preferire far emergere dai bambini e dai ragazzi delle Persone, oppure addestrarli a diventare Lavoratori (per necessità di sopravvivenza).
Masque, 22-07-2011 05:22
In una società che funziona le due cose sono mantenute non in contrasto e contribuire alla comunità è una soddisfazione. In Italia, d'altro canto...la gente lavora per soldi.
Marco B., 23-07-2011 05:23
D'altro canto la comunità è sparita quando gli agglomerati umani sono diventati sempre più grandi e spesso formati da persone che preferiscono farne parte solo per motivi di convenienza. Come fai a sentirti parte di un tutto se ognuno nella tua città si fa i fatti suoi e non conosci nemmeno la metà, nemmeno il decimo di quelli con cui ti trovi, forzatamente peraltro, ad interagire? Per il bene di chi agire se non il proprio? Forse per quello di quel passante che si guarda le punte delle scarpe e non ti saluta? O di quel cliente che, muto, ti presenta un articolo scelto in fretta, mette giù i soldi, intasca il resto e, correndo, se ne va?
Marco B., 23-07-2011 05:23

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