15 ottobre. Se indignarsi non basta

L'indignazione è un sentimento politico? E quanto ha a che fare con il desiderio di cambiamento? È importante capire cosa è in gioco. C’è una crisi, imponente, l’ultimo prodotto di un sistema governato dall’1 per cento della popolazione mondiale, la stessa percentuale che probabilmente da questa crisi sta cercando di guadagnarci qualcosa.

15 ottobre. Se indignarsi non basta
C’è da chiedersi se l’indignazione non sia diventata parte integrante del sentire politico del nostro paese, perché è già la seconda volta in un anno che in Italia si scende in piazza in difesa di una "dignità violata". Domani ci saranno marce e assemblee pubbliche di quelli che a pochi mesi dalle primavere nordafricane e dal fenomeno spagnolo degli Indignados, e a qualche settimana di distanza dalla nascita dell’Occupy Wall Street americano, si son conquistati l’etichetta di indignati italiani. Quasi una risposta all’ansia mediatica dei giornali che negli ultimi mesi non hanno fatto che titolare: "Perché in Italia non ci sono gli indignati?" e "Dove sono gli indignati italiani?". Del resto lo sappiamo, da noi soprattutto funziona così, si ragiona per categorie e compartimenti stagni. I bamboccioni, i fannulloni, gli invisibili, i precari, i no-global, i black block… Stavolta all’appello gli indignati mancavano proprio, e così, ecco pronta la risposta: gruppi di persone, cittadini attivi, molti già attivi da tempo in un processo di riappropriazione degli spazi e della partecipazione politica, hanno deciso di cedere al richiamo e indossare l’abito richiesto per rendersi titolari della protesta. Alcuni di loro, dopo riunioni e assemblee di piazza hanno firmato e diffuso un appello per le manifestazioni del 15 ottobre – che coinvolgeranno in contemporanea 911 città del pianeta -, altri hanno manifestato la loro adesione alla giornata specificandone i motivi, spesso differenti e variegati rispetto all’appello circolato in rete a firma degli 'indignati italiani', criticato anche perché "l'alternativa" sembrava più uno slogan che un fatto. Ho sentito più volte gli indignados spagnoli precisare che questa definizione era stata affibbiata loro dai media. La domanda è: quanto ha a che fare l’indignazione con il desiderio di cambiamento? E soprattutto, l’indignazione è un sentimento politico? Il famoso 'italiano medio' ha passato anni a indignarsi davanti ai salotti televisivi borbottando a mezza bocca "governo ladro" senza muoversi dalla poltrona di casa, senza contribuire minimamente a cambiare le cose, continuando a delegare l’azione ad altri. Quello che sta succedendo in questi mesi – anni? – mi sembra qualcosa di diverso da una lamentatio collettiva globale, che include la partecipazione, l’azione, l’assunzione di responsabilità, il desiderio di smetterla con le deleghe. Come possiamo usare la stessa parola per definirlo? Potremmo forse dire indign-azione... Quando leggo che una ragazza di ventitré anni ha perso quattro denti per una manganellata perché stava manifestando il suo dissenso di fronte alla sede bolognese della Banca d’Italia, quando apprendo che due attiviste vengono arrestate per aver difeso pacificamente la loro valle, non so dire se mi indigno, ma di sicuro è rabbia quella che provo, una rabbia forse però incapace da sola di smuovere lo stato delle cose. È importante capire cosa è in gioco. C’è una crisi, imponente, l’ultimo prodotto di un sistema governato dall’1 per cento della popolazione mondiale, la stessa percentuale che probabilmente da quella crisi sta cercando di guadagnarci qualcosa. Ricordo bene le parole di Naomi Klein in Shock Economy, sul non lasciarsi ammaliare dal fascino della tabula rasa quando è in corso una crisi, perché una crisi può essere una opportunità, ma bisogna prima capire per chi. Penso ai muri dell'edificio di Barletta crollati addosso alle lavoratrici precarie, poi penso all’Aquila post-terremoto, al modo in cui le istituzioni hanno cercato di trasformare una crisi in un’opportunità, alla risposta resiliente di una vasta rete di cittadine e cittadini che non solo si è opposta resistendo a tale immagine di 'ricostruzione', ma ne ha proposta e attuata un’altra. Mi chiedo: stiamo facendo qualcosa di simile con la crisi finanziaria, sociale, ecologica? È possibile che ci riusciamo? C’è stato un lento terremoto, ma non si tratta di una 'causa di forza maggiore'. I responsabili – i produttori – della crisi esistono, hanno nomi e cognomi, hanno un volto, e vogliono venderci questo prodotto socializzando il debito e spalmandolo sul restante 99 per cento della popolazione, con politiche di austerity, tagli al sapere, alla sanità, al lavoro, privatizzazione di beni comuni come l’acqua, l’aria, il paesaggio, la vita stessa. Questioni, su cui quel 99 per cento si è espresso già chiaramente – pensiamo al milione e quattrocentomila firme raccolte in Italia per la legge di iniziativa popolare che chiede di ripubblicizzare il servizio idrico, pensiamo ai risultati plebiscitari degli ultimi referendum – senza che questo abbia trovato il giusto luogo nelle manovre economiche di governo, schiacciate dalle raccomandazioni della Banca Centrale Europea e di Bankitalia: "tagliare, privatizzare, rivedere i contratti di lavoro". In questo senso, il prezzo della crisi non è solo di ordine economico ma anche di natura politica: i cittadini rischiano di pagare due volte, in denaro e in democrazia. Crescere e cresceremo: o la crescita immediata, o la morte. E a qualsiasi condizione, anche a quella di mettere in vendita intere esistenze. Ma la risposta è sempre la stessa: "noi la crisi (vostra) non la paghiamo". Lo hanno gridato gli studenti e le studentesse dell’Onda contro la mercificazione del sapere, lo hanno detto i valsusini che resistono contro la TAV, lo dicono le donne, le femministe che domani saranno in piazza con un ventaglio rosso per manifestare la loro differenza – anche rispetto a certi spot decisamente sessisti, legati alla manifestazione italiana del 15 ottobre – lo stanno urlando gli aquilani e le aquilane, i cittadini e le cittadine di Napoli che grazie al loro lavoro hanno visto varare in giunta due importanti delibere su acqua pubblica e zero rifiuti, i lavoratori della conoscenza e dello spettacolo al Teatro Valle Occupato di Roma; continuano a ribadirlo a loro modo associazioni come PAEA, il movimento Stop al Consumo del Territorio, i Comuni Virtuosi, le Città di Transizione, tutti coloro che si impegnano per una finanza etica. Mi sono chiesta cosa abbia a che vedere tutto questo con il popolo di Seattle che a fine anni novanta si opponeva all’ideologia della globalizzazione mettendo al centro lo strapotere di istituti finanziari internazionali come Fmi e Bce. Penso a Vandana Shiva, Joseph Stiglitz, Susan George, ad Attac e alla Tobin Tax. Anche stavolta tra i principali destinatari ci sono gli istituti finanziari internazionali, però si parla di un desiderio di cambiamento globale che incida sulla vita di ognuno; c'è chi vede in questo un'evoluzione, una concretezza non ideologica. La differenza, in un certo senso, me la spiega ancora Naomi Klein - autrice di No Logo, tra i manifesti del movimento No Global - che qualche giorno fa ha parlato agli occupanti di Wall Street: "Solo quando si rimane ben piantati, si possono mettere radici - ha detto -. Questo è fondamentale. È un fatto che nell'era dell'informazione ci siano troppi movimenti che sbocciano come fiori meravigliosi, ma che muoiono presto. Questo perché non hanno radici. E non hanno piani a lungo termine per la propria sopravvivenza. E quando arriva la tempesta, vengono spazzati via”. Voglio pensare all’informazione come a uno strumento per rendere visibile la connessione tra questi "fiori", nello spazio ma anche nel tempo, senza che ci si dimentichi troppo presto di quello che è stato detto con altre parole, di quello che già è accaduto, trasformando ogni tentativo di cambiamento in un fuoco di paglia sconnesso dal resto. Perché dimenticare continuamente può essere più faticoso che ricordare, e questo vale anche per le nostre vite a cui è stata sottratta continuità di spazi, tempi e relazioni. Voglio pensare al 15 ottobre come a una giornata di raccordo tra voci diverse ma tra loro interconnesse, una giornata capace di contenerle e metterle in relazione rendendo esplicito il legame che sussiste tra vite, saperi, esistenze, lavori, consumi, scelte, individui e collettività, diversi pensieri. Nessuna bandiera, nessun partito, nessuna violenza, questi gli intenti dichiarati prima. Poi, lo sappiamo, tra popoli violacei e violenti cavalieri neri, il fantasma della delegittimazione attende dietro l’angolo.

Commenti

Analisi competente circa il momento attuale.L'efficacia politica dell'indignazione sembra legata alla sua traducibilità in legittimazione democratica e questo comporta una nuova struttura della rappresentanza partitica che non insabbi i bisogni sociali nei rituali burocratici ma nemmeno li lasci in balìa di sensazioni psicologicamente comprensibili ma dalla scarsa efficacia sociale. Esiste una larga banda sociale legata al profitto per il profitto quando sappiamo che se a banche stracolme di utili non rispondono bene reali naturali e prodotti sarà solo rendita cartacea.Giovani indignati che si preparino a creare strutture politiche snelle ed oneste, competenti e coscienti perchè se l'indignazione si sfoga solo in piazza farà buchi nell'acqua.
maurolaspisa, 14-10-2011 04:14
Bellissimo editoriale che sostanzialmente mette ognuno di noi di fronte slle proprie debolezze egoistiche e conseguenti incoerenze con la esigenza di cambiamento dell'assetto sociale vigente. Ma è proprio da questo contrasto comportamentale che bisogna partire: in tutte le varie iniziative di cambiamento bisogna avere il coraggio di individuare tutti i punti di incoerenza dei protagonisti. Non sarà difficile scoprire che è l'accettazione del concetto del previdente accumulo per sè il tarlo che corrode le più forti fibre della opposizione alle guerre e alla globalizzazione. Quel concetto si nutre di sfiducia nell'altro, di "competività", di "identità" le più varie e seducenti, culturali, patriottiche, religiose!Quel concetto poggia le sue basi nel germe del capitalismo che diventa un tutt'uno con l'egoismo individuale e che, nella sua sete di sicurezza, porta inevitabilmente alla ricerca del monopolio. Denunciamo la sempre maggiore ricchezza dei sempre più pochi ricchi e non capiamo che siamo i piccolissimi illusi accumulatori quelli che permettiamo che ciò avvenga! Proclamiamo il riconoscimento del "merito" e non ci accorgiamo che così facendo non mettiamo in comune conoscenze e scoperte che possono essere portate avanti da quelli tra noi che ne avevano bisogno per dar corpo a scoperte e conoscenze da loro intuite a livelli superiori e di più generale soddisfacimento dei bisogni umani. In momenti come gli attuali, in cui finalmente, grazie ai progressi delle tecnologie della comunicazione, possiamo toccare con mano la comunanza delle rivendicazioni e delle attese dei nostri simili, dobbiamo avere il coraggio di vivere gli uni per gli altri e di tenere per noi solo lo stretto necessario per camminare liberi.La nostra sicurezza e la nostra legittimazione nel genere umano sarà riposta e fondata non nel conto corrente o nell'asservaggio al monopolista di turno ma nella forza riconoscente e trainante di quanti avranno avuto quel coraggio e quella saggezza di scelta.
Franco, 15-10-2011 09:15
L'articolo è bello perchè fa riflettere. Ed è uno dei tanti spunti che voglio cogliere: quando dice che "l'Italiano medio" è rimasto a borbottare davanti alla tv senza alzarsi dalla poltrona. Fortunatamente non tutti: quando nel 2007 è nato il PD molti, fra cui io per cui parlo a ragion veduta, ci siamo detti che era venuto il momento di finire di stare seduti e di alzarci. E così succede che in molti circoli del PD sparsi sul territorio ci siano i "nativi" (ci chiamano così quelli che non siamo nè ex Ds nè ex Margherita) che giorno per giorno mettono il loro mattoncino per il cambiamento. Certo me ne rendo conto, che rispetto alle "furbizia" di chi ha anni di militanza politica alle spalle, in certi momenti io per prima sembrerei Alice nel Paese delle Meraviglie. Ma vi garantisco che il lavoro quotidiano e certosino per cambiare le cose dal di dentro c'è. E la cosa principale su cui riusciremo ad influire, passato questo momento di transizione, sarà proprio il meccanismo di selezione della classe dirigente di questo paese. Ora io non ho intenzione qui di fare le parti di questo o quello, ma credo fermamente che la via del cambiamento in Italia debba passare attraverso la via di cambiamento dei partiti, proprio per evitare quello che dice l'articolo, ovvero che non si abbiano radici e piani per il futuro. I partiti ed i politici sono i custodi e testimoni della nostra democrazia: se vogliamo far migliorare la nostra democrazia, dobbiamo per forza di cose far migliorare anche i suoi testimoni. Abolire i testimoni o stare sulla poltrona a casa a borbottare non serve a nulla. Ma volevo dirvi che qualcuno che sta lavorando c'è: non senza difficoltà, ma ci siamo. Siamo nell'ombra, non abbiamo incarichi rilevanti, ma stiamo gettando ogni giorno quella goccia che formerà un oceano.
Claudia, 15-10-2011 10:15
Parole sacrosante, ma sicuramente un ragionamento così articolato e consapevole non farà mai parte della moltitudine di ignoranti che popolano il mondo, vi ricordate nel 74 il film di Sordi "finchè c'è guerra c'è speranza"? La scena finale è agghiacciante ed il film è stato visto da milioni di persone che hanno continuato la propria vita di consumo senza battere ciglio!!!!
fabio, 15-10-2011 11:15
Il mio pensiero è qui: VIDEO URL: http://www.youtube.com/watch?v=1pydeLE_QUs&feature=player_detailpage#t=46s ascolta e commenta; la tua opinione non è meno importante della mia. Non è mai tardi per capire e per cambiare. donatomensi@gmail.com
donatomensi, 16-10-2011 12:16
bello ed interessante l,articolo da valutare perche tocca molti aspetti e per ognuno di essi ci vorrebbere pagine e pagine per poterli dibattere.primo commento ed e una precisazione al sig fabio che parla di "ignoranti"dimenticandosi ma senza polemica che " l,ignorante"non e altro che una persona non informata.E su questo gia ci sarebbe da dire molto considerando come " funziona" l,informazione in italia e non solo in italia .in una democrazia che si rispetta,l,informazione quanto piu vicina alla realta ,e la base essenziale per potersi .formare delle idee.quindi se le persone sono " ignoranti" e perche la societa e ignorante.e l,individualismo e una forma di ignoranza,che danneggia la societa e lo stesso individuo.seconda cosa che vorrei dire.E qui bisognerebbe imparare dal calcio perche anche il calcio puo insegnare ed e questo ci sono state grandi nazionali come il brasile ,e la stessa italia che hanno vinto molto correndo poco ,ed altre come la germania,che hanno vinto poco correndo molto.PERCHE i primi facevano correre la palla ed i secondi correvano loro.con questo che voglio dire che il problema non e stare o meno comodamente davanti alla tv.L;IMPORTANTE E PENSARE E CONDIVIDERE LE IDEE FARE CORRERE LE IDEE.ed e propio questo che ha danneggiata la nostra societa.la nostra apatia il nostro non volersi mettere in discussione mi fermo sperando di aver detto delle cose interessanti
claudio50, 17-10-2011 09:17
molto bello questo articolo , mi ha fatto riflettere molto su vari aspetti del problema , avendo partecipato a diverse battaglie sociali e politiche da circa 30 anni, pensavo di non dovermi indignare piu ma con l arrivo di berlusconi in politica sono dovuto ritornare ad essere indignato da subito anche per colpa di una parte del popolo italiano che lo sostiene e non ho ancora capito perchè visto che lui rappresenta una categoria molto ben definita ,sono indignato anche con il partito del fazzoletto verde il quale non fa altro che abbaiare e non si capisce ciò che dice ,dovevano essere quelli che avrebbero sistemato tutto a roma, un bel NIENTE , nemmeno x LA PADANIA COMPLIMENTI!!! LE POLTRONE però SONO COMODE VERO SIGNORI PADANI? al nord stiamo aspettando , ma il vento sta cambiando ci spero propio . spero che siano in molti ancora ad indignarsi
giovanni bloisi, 19-10-2011 06:19
amico giovanni siamo in due ad aspettare tu al nord ed io al sud.e forse spettiamo la stessa cosa.cioe che la politica faccia quel che deve fare.ma poco ci spero vista la bassezza culturale dei politici. penso che il paese esprime una capacita di analisi piu avanzata di questa gente .e l,anomalia degli italiani sta nel pagarli profumatamente per quello che non fanno che Dio ci aiuta ma so..che non lo fara
claudio50, 19-10-2011 07:19

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