La crisi economica, la disillusione del "progresso", gli orti urbani e il cibo bio / 3 e ultima parte

Ospitiamo un intervento del professor Roberto Ronchetti, presidente della sezione laziale del'associazione Medici per l'Ambiente ISDE; qui la terza e ultima parte. Ronchetti è stato per 33 anni titolare della cattedra di clinica pediatria al policlinico Umberto I di Roma e dal 2002 si occupa come ambientalista dell'effetto nocivo sulla popolazione dei contaminanti ambientali.

La crisi economica, la disillusione del

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L'agricoltura secondo natura

L’agricoltura biologica implica concetti economici e filosofici completamente alternativi all’agricoltura “industriale”, basata sull’impiego di sostanze “biocide” e “fertilizzanti” utilizzate per aumentare la produttività. Si tratta, ovviamente, di due tipi di agricoltura assai diversi. Tuttavia, ripercorrendo il cammino che studiosi e grandi esperti di agricoltura biologica hanno compiuto nel corso degli ultimi decenni, emergono concetti nuovi che accentuano ancora di più le differenze fra questi due tipi di agricoltura, e che sul piano pratico rendono la coltivazione degli orti urbani più accessibile ed accettabile per i non addetti ai lavori agricoli.

La recente ricerca scientifica ha preso ad approfondire nozioni da tempo genericamente note, e cioè che nel terreno esiste un numero enorme di specie di funghi, solo in piccolissima parte coltivabili in laboratorio o anche semplicemente identificate: si tratta verisimilmente di un milione e mezzo di specie, che possono raggiungere una massa complessiva di 5.000 kg per ettaro di suolo. Le funzioni svolte dai funghi derivano dalle loro svariate modalità di nutrizione, molte delle quali tipicamente basate sulla simbiosi (ma non soltanto su questa), funzioni che hanno una grandissima importanza nella nutrizione e salute delle piante, nonché nella strutturazione della fertilità del suolo. Ciò vale in particolare per i funghi che vivono attorno o nelle radici, formando le cosiddette “micorrize” che colonizzano la quasi totalità delle piante di tutti gli ecosistemi terrestri: si tratta di funghi che vivono con le radici delle piante, stabilendo una simbiosi, detta appunto di “micorriza”, la cui conseguenza ormai riconosciuta è che la pianta, che cede al fungo degli zuccheri, migliora l’assorbimento di minerali, e viene filtrata dagli elementi nocivi, diventando anche più resistente agli stress ambientali (ad esempio, i comuni agenti patogeni, la mancanza di acqua, la presenza di inquinanti ecc.), attivando in definitiva processi che hanno effetto positivo sulla crescita. In pratica, questi funghi influiscono sulla qualità, produttività e biodiversità dei vegetali, svolgendo la funzione di “bio-fertilizzanti” naturali.

Parallelamente, è cominciato lo studio e la classificazione sistematica dei milioni di specie microbiche presenti nel suolo. Sono emersi dati che indicano come in un suolo fertile vivano normalmente un’enorme quantità di microrganismi, una tonnellata o più per ettaro di terreno, in un contesto assai dinamico, in cui un elevato numero di specie nascono, vivono e muoiono in un continuo avvicendamento, in relazione al mutare della temperatura, dell’umidità e delle caratteristiche del suolo. Questa enorme quantità di microrganismi comprende batteri “azoto-fissatori”, in grado di trasferire l’azoto dall’aria nel terreno, e specie “aerobiche” (in superficie), che utilizzano l’ossigeno dell’aria, oppure “anaerobiche”, le quali nelle parti più profonde del terreno (5-20 cm) vivono praticamente in assenza di aria metabolizzando le sostanze organiche: tutte queste specie contribuiscono, con funzioni diverse, all’arricchimento del terreno ed alla nutrizione delle piante, o per il tramite dei funghi simbionti, o direttamente.ismi del

I microorganismi del terreno danno dunque vita a comunità incredibilmente complesse che continuamentea sminuzzano e trasformano la sostanza organica rendendo il suolo vivo , controllando le invasioni esterne e regolando i malfunzionamenti interni al sistema.

Emerge da questi dati una visione, secondo cui la zolla agricola è un mirabile e complesso tessuto di organismi vitali e di sostanze organiche o minerali, che è presumibilmente in grado di nutrire e consentire una crescita rigogliosa delle piante, come avviene nel terreno del bosco o nelle zone incolte della campagna: la zolla agricola non deve essere distrutta (lavorata), ma preservata. Al contrario dell’agricoltura convenzionale che con il largo uso di fungicidi e diserbanti e di lavorazioni profonde altera irreversibilmente la qualità dei suoli sconvolgendo la composizione faunistica, micologica e batterica e favorendo fenomeni erosivi e perdita degli strati fertili.

Da questi concetti, sta scaturendo la pratica di una “Agricoltura secondo Natura”, la quale:

- non “lavora” la terra e non utilizza quindi mezzi meccanici (aratri, zappe, trattori)

- non dà apporti al terreno attraverso la concimazione, perché la fertilità del suolo dipende dalla carica batterica e fungina, quantità e qualità, che è in grado da sola di fissare l’azoto e “bio-fertilizzare” il terreno

- non pratica alcun interramento di sostanza organica fresca e disseccata, ma rispetta la naturale stratificazione del terreno nelle lavorazioni, cercando di mantenere minima l’esposizione della superficie della terra agli agenti atmosferici mediante copertura continua, per mezzo della vegetazione coltivata o spontanea

- rispetta la complementarietà naturale delle piante e quindi non pratica nessun diserbo radicale, controlla soltanto le erbe spontanee

- Questo tipo di agricoltura, ampiamente sperimentata in oriente ma progressivamente praticate in Europa e in Italia, è meno faticosa dell’agricoltura tradizionale, realizza un’effettiva salvaguardia dei suoli agricoli, migliora la quantità e la qualità del cibo che si ottiene, garantisce una buona resa produttiva sul campo.

È, in pratica, l’agricoltura biologica che può essere praticata, negli orti urbani come nei campi, anche da persone poco esperte e con capacità fisiche non massimali.

Orti urbani: arriva la legge

Il momento politico sembra favorevole per lanciare iniziative volte a favorire la diffusione degli orti urbani. Partendo da considerazioni di varia natura, ma in particolare dall’idea economicamente rilevante che il verde urbano assorbe CO2 e altri inquinanti, gli orti urbani sono negli ultimi tempi ben visti anche dalla politica.

La troppo spesso disattesa legge 14 gennaio 2013, n. 10, Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 27 del 1/02/2013 ed entrata in vigore dal 16/02/2013) di fatto favorirebbe tutte le iniziative per aumentare il verde nei contesti cittadini: oltre alla crescita degli "orti urbani", la trasformazione dei lastrici solari in “giardini pensili” e la creazione di coperture vegetali delle pareti degli edifici (ri-inverdimento verticale). Tale legge si propone inoltre di creare delle cinture verdi (“green belts"), oasi arboree e di verde attorno alle aree urbanizzate e modifica la legge n. 113 del 29 gennaio 1992, che adesso impone ai comuni con una popolazione superiore ai 15 mila abitanti di mettere a dimora un albero per ogni bambino nato o adottato (in Italia nascono in media 500.000 bambini all'anno) ed ogni comune dovrà censire il proprio patrimonio di alberi. Il provvedimento istituisce inoltre, per il 21 novembre, la Giornata nazionale sui diritti degli alberi, durante la quale si debbono tenute nelle scuole iniziative per diffondere una nuova cultura ambientale.

Conclusioni

Abbiamo riportato una serie di evidenze genericamente note e certo non originali: considerando il complesso dei dati esposti ed i molti altri che sono certamente disponibili, si potrebbe elaborare un concetto conclusivo.

Abbiamo riportato dati secondo i quali è oggi possibile condurre un’attività agricola senza l’apporto di pesticidi, di fertilizzanti ed addirittura senza “lavorare” la terra. È un’immagine che potrebbe apparire addirittura blasfema, in quanto contraddice all’imperativo Divino riportato nella Bibbia: “Con il lavoro faticoso ricaverai dalla terra il tuo nutrimento”. In realtà, occorre ricordare che l’uomo, prima di divenire agricoltore, circa 10.000 anni fa, è stato un raccoglitore, cioè si cibava di quello che Madre Natura, senza l’aiuto dell’uomo, produceva nei boschi, nelle foreste, nelle praterie e sulle pendici delle montagne. L’agricoltura, la fantastica scoperta che gli uomini della Mesopotamia donarono all’umanità, ci ha fatto dimenticare che il miracolo che dal seme posto nel campo genera il frutto, non è opera dell’agricoltore, bensì della Madre Terra. Occorre riunificare le conoscenze che generazioni di esseri umani hanno accumulato con il sudore della fronte e con la sofferenza, con la riscoperta del fatto che la Natura da sola (e, si potrebbe aggiungere, nonostante i danni che certi nostri interventi vanno causando) sia in grado di produrre il nostro cibo. Ciò modificherà il modo stesso in cui l’agricoltura del futuro dovrà operare. Al di là delle contingenze attuali, degli interessi consolidati, delle abitudini che ci siamo dati, delle conoscenze parziali che abbiamo o che crediamo di avere, l’agricoltura del futuro non dovrà usare sostanze chimiche che avvelenano il pianeta in modo inesorabile e dovrà solo, in modo mansueto ed intelligente, “coltivare” le capacità della terra di generare organismi viventi.

Dopo aver detto tutto questo, ci si può meravigliare del fatto che ciascun cittadino, specialmente se attento alle tematiche ambientali, specialmente quando aderente ad organizzazioni dedite allo studio dei rapporti fra ambiente e salute, non abbia ancora deciso di intraprendere la cura personale di un orto urbano!

 Fine

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