Marlane Marzotto: accelera il processo sulla 'fabbrica dei veleni'

Va avanti, nel silenzio dei media, il processo della Marlane Marzotto di Praia a Mare, la fabbrica tessile del cosentino al centro di una vicenda giudiziaria per gli oltre cento lavoratori colpiti da patologie tumorali e in decine di casi non sopravvissuti. Ma qualcosa si sta muovendo, il processo avviato nel 2010, sembra stia arrivando ad una svolta.

Marlane Marzotto: accelera il processo sulla 'fabbrica dei veleni'
Un silenzio quasi totale circonda il caso della Marlane di Praia a Mare. Sui media nazionali si fatica a trovarne traccia, anche sul web, dopo ogni udienza, spesso solo i comunicati dello Slai Cobas, l'unico sindacato che dall'inizio ha sostenuto la battaglia degli ex operai ammalati di tumore e dei familiari di quelli deceduti. I decessi hanno avuto inizio nel 1973. A combattere questa battaglia, in un primo momento, solo l'ex operaio e sindacalista dello Slai Cobas Alberto Cunto, la cui determinazione si rivelerà decisiva quando il caso rischierà l'archiviazione. Nel 1999 il procedimento viene iscritto nel registro generale delle notizie di reato, ma il processo parte solo nel 2010. Le indagini passano infatti da un pm ad un altro, mentre si allunga la lista degli ammalati e dei morti e intanto crescono le testimonianze degli operai. Racconti di uno spazio comune di lavoro, in cui si diffondevano tutte le sostanze legate ai processi di lavorazione, di fumi che a volte non permettevano ai lavoratori neanche di vedersi tra loro e di buste di latte consegnate agli operai per disintossicarsi. Un ex operaio del reparto tintoria ricorda come, lavando i denti, vedesse la sua saliva prendere il colore del colorante utilizzato durante il giorno. Oggi è malato, come gli altri 20 colleghi del reparto, di cui 8 non sopravvissuti. È infatti l'esposizione a queste sostanze, secondo l'accusa, la causa delle patologie che hanno colpito gli operai: l'amianto dei freni dei telai come le ammine aromatiche sprigionate dai coloranti durante l’ebollizione in vasche aperte che i lavoratori alimentavano manualmente. Poi nel 2006 ai decessi si aggiunge il rinvenimento, dietro denuncia di un operaio, di rifiuti tossici e scarti di lavorazione nei pressi dello stabilimento. Tra i materiali interrati, anche il cromo esavalente, un elemento utilizzato nei composti industriali, classificato come cancerogeno dalla Iarc e che colpisce in particolare le vie respiratorie. L'accusa di disastro ambientale si aggiunge allora a quelle di omicidio colposo plurimo e di lesioni colpose per i 13 imputati. Tra questi, oltre all'attuale sindaco del comune calabrese, Carlo Lomonaco, che dello stabilimento è stato direttore, nomi altisonanti, dal conte Pietro Marzotto al vicepresidente vicario di Confindustria Veneto Antonio Favrin, che schierano un collegio difensivo altrettanto importante: da Ghedini a rappresentanti dello studio Pisapia fino a Di Noia e Calvi. Si potrebbe dire il gotha dell'industria italiana difeso dal gotha dell'avvocatura italiana. Dati i tempi lunghi in fase preliminare, soprattutto se paragonati ad altre vicende per molti versi analoghe che invece si sono concluse molto più velocemente – Eternit, Petrolchimico di Porto Marghera, Thyssen -, l'ombra lunga di una prescrizione incombe, soprattutto per i decessi più datati. Decessi che non si arrestano. Uno dei legali delle parti civili, Natalia Branda, spiega che due dei suoi assistiti sono morti nel dicembre scorso, uno all'età di appena 50 anni, per un carcinoma al cavo orale. Altri due decessi si sono consumati in coincidenza dell'ultima udienza, il 30 marzo, quella in cui, secondo l'avvocato Branda, si è incardinato il processo e il tribunale ha manifestato la volontà di accelerare. L'udienza del 30 è stata dedicata alla difesa degli imputati, il 20 aprile è prevista la replica del pubblico ministero e delle parti civili. A quel punto il tribunale stabilirà quali parti ammettere e quali estromettere e avrà l'inizio la fase istruttoria. Da questo momento, il processo non dovrebbe più rallentare.

Commenti

se fossi uno dei familialri l'unica cosa da fare sarebbe vendicarsi...mi dispiace ma è l'unico modo in questo paese per fare giustizia.
Dantes, 07-04-2012 09:07

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